Delirium & Claustrum

  




"Il delirio è la teoria di uno solo, la teoria è il delirio di molti"

(Francois Roustang)


La personalità umana non è mai unificata completamente ma è sempre non integrata e continuamente lacerata da processi di scissione. 

- Come si forma il sistema delirante?

- Come possono alcune parti della personalità vivere in un mondo delirante, che qualcuno ha chiamato il nessun luogo?

- Quali sono i fattori che determinano l’accesso alla coscienza dello stato mentale di tali parti deliranti?

Il sistema delirante presenta delle analogie con la costruzione dell’immagine del mondo nel senso di Money-Kyrle, qualcosa che viene eretto a poco a poco attraverso l’apprendere dall’esperienza, nel senso di Bion, ed è fabbricato a poco a poco parallelamente alla costruzione del mondo della realtà psichica.

Ma, proprio come questo viene costruito attraverso un processo di formazione simbolica riuscito attraverso l’introiezione di simboli ricevuti, il sistema delirante è fabbricato per mezzo di un processo di formazione di simboli che ha fallito, quello che Bion ha chiamato elementi beta con tracce di Io e Super-Io, che sono le macerie della funzione alfa rovesciata.

In risposta al terzo quesito sull’accesso alla coscienza di materiale delirante, bisogna chiarire che il termine coscienza è utilizzato nel senso di organo per la percezione di qualità psichiche (Freud), e perciò di attenzione (Bion) oppure di percezione di fenomeni (Platone).

Dal momento che la frammentazione del Sé è un attributo universale dell’apparato mentale, l’organo dell’attenzione è altamente valutato e conteso dalle varie parti del Sé a causa del suo diretto accesso alla motilità (Freud), sebbene non detenga in alcun modo il monopolio al riguardo.

Come accade che una parte o parti della personalità arrivino ad abitare in questo mondo del nessun luogo

Dobbiamo dedicare attenzione alla quarta area della realtà psichica, cioè l’interno degli oggetti interni, il mondo claustrofobico degli stati psicotici borderline.

L’ingresso nell’identificazione proiettiva è un fenomeno onnipresente nella prima infanzia, stabilitosi soprattutto durante i conflitti intorno ai processi escretori e aggravato dalle fantasie di attività masturbatorie intrusive, specie nella masturbazione anale.

Mentre il perseverare di una parte infantile che vive in uno stato d’identificazione proiettiva con un oggetto interno, di solito la madre e di solito a livello parziale, fa soprattutto emergere solo sintomi claustrofobici o agorafobici e tendenze maniacali o depressive, quando tale parte nascosta della personalità abbia guadagnato il controllo dell’organo della coscienza, avvengono dei marcati cambiamenti generali.

Prima di tutto l’esperienza del mondo esterno diventa dominata dall’atmosfera claustrofobica, il che significa che la persona, in qualunque situazione si trovi, si sente intrappolata. 

Ovunque c’è un’atmosfera di catastrofe imminente e porte chiuse (Sartre).

In secondo luogo, in risposta a questa sensazione sospesa di catastrofe imminente, l’immagine del mondo diventa compartimentalizzata e stratificata. 

I compartimenti, che hanno un forte connotato filogenetico o storico, si avvicinano nel loro significato alla suddivisione in Inferno, Purgatorio e Paradiso: nel retto, nei genitali o all’interno del seno o testa della madre primitiva.

Ogni organizzazione è vista come stratificata, gerarchica e perciò, in un certo senso, politica, sia che si tratti della famiglia, famiglia estesa, posto di lavoro, o che sia socialmente concreta come un’istituzione oppure astratta come una classe o un’occupazione.

"La qualità claustrofobica della mente, generando irrequietezza, spinge a cambiare area geografica e mobilita l’ambizione a salire una qualche scala sociale, esistente o meno, verso un’immaginaria salvezza verso l’alto." (Meltzer)




Elementi plastici nella genesi della parola e le dinamiche del Sè

  




"Udir con gli occhi è finezza d'amore"
(William Shakespeare)



Il silenzio e il contatto, il non verbale e la coscienza.

"Il Sè è il confine di un contatto e la formazione continua di rapporti tra figura e sfondo" (Hefferline)

Se togliamo alla parola il suo potere evocativo e il suo carattere fluido, facciamo quello fa il verbalizzatore, che utilizza la parola come struttura e oggetto di identificazione. 

"Egli è ciò che dice, non potendo dire ciò che egli è" (Perls) 

In qualsiasi gruppo di persone l'identificazione del porta-parola con ciò che dice è un segnale di un discorso incompiuto sub-vocale del gruppo: 

"Il metodo universalmente usato per proteggersi dalla disgrazia annunciata è quello di sopprimere lo stesso annunciatore" (Levy-Bruhl)

Nella maggioranza dei casi nei quali il porta-parola rimane l'enunciatore del discorso sub-vocale del gruppo, la sua figura è vicina a quella del poeta: articola il processo intra-psichico individuale con il processo inter-soggettivo, dà voce a un'entità circolante e sfida il pericolo di arrivare alla tregua precoce del conflitto individuale e gruppale, per scioglierla. 

"Il porta-parola è colui che nel gruppo, a un determinato momento, dice qualcosa, enuncia qualcosa e questo qualcosa è il segno di un processo gruppale che fino a quel momento è rimasto latente o implicito, come nascosto nella totalità del gruppo. 
Come segno, ciò che denuncia il porta-parola va decodificato, ossia va spogliato del suo aspetto implicito. In questo modo viene decodificato dal gruppo ciò che segnala il significato di questo aspetto. 
Il porta-parola non ha coscienza di enunciare qualcosa della significazione gruppale che ha luogo in quel momento, ma solo di enunciare o di fare qualcosa che vive come proprio" (Pichon-Rivière) 

La parola diviene il contenitore dell'esperienza, sostituendo la pelle nelle sue funzioni di confine e contatto. 

L'esperienza si attua sul confine di contatto, come afferma Goodman e, nel gruppo, ma anche nell'individuo, l'identità (dal latino identitate, da idemproprio quello stesso; uguaglianza completa e assoluta), ha esperienza sul suo confine che è la parola. 

Nella concezione di porta-parola di Piera Aulagnier, l'identità è devoluta al discorso della madre nella strutturazione della psiche del bambino. 

Per un'uguaglianza completa e assoluta dell'esperienza, la parola discorsiva della madre accompagna, commenta e anticipa le attività e i supposti pensieri del figlio. 

Silenzio, da latino silentium, silére, tacere, di origine indoeuropea. 

Tacere, di etimologia incerta; tacito, che tace, mantiene il silenzio, che non è espresso apertamente ma si può facilmente intuireaspettare tacitamente. 

Nel vissuto che la nostra cultura ha del silenzio c'è una condizione di attesa e rivelazione. 

Attesa che qualcosa si riveli, in un silenzio che è ascolto e nel quale emerge la possibilità di un'intuizione, di una nuova comprensione dell'esperienza. 

Questa comprensione ha di nuovo l'identità tra l'esperienza e l'esperiente, senza nessun bisogno di ricorrere ad una comprensione successiva che utilizzi la riflessione. 

Come nel silenzio anche nel racconto efficace il gruppo viene narrato a se stesso attraverso un linguaggio che Bion chiama dell'effettività e che ha la stessa immediatezza e forza dell'azione. 

Il luogo di contatto e comunicazione che la parola incarna nel dialogo collettivo, diventa il luogo dell'identità di gruppo e la forma parlante dei suoi bisogni, messa in evidenza su uno sfondo confuso, ed esterno, di verbalizzazioni. 

Nelle situazioni di contatto il Sé è la volontà che forma l'interesse nel campo delle interazioni, il Sé è il processo dell'individuazione nel campo della situazione di contatto. 

Il senso di questo processo formativo, cioè  il rapporto dinamico tra interesse e campo (Perls questo rapporto lo indica con figura/sfondo) è l'identità: sentire che nella situazione di contatto, la situazione incompiuta tende a completarsi. 

Il Sé esiste non come un'istituzione fissa ma come un adattamento a problemi e situazioni intense e difficili (esperienza incompiuta o conflitto precocemente sedato). 

Quando queste situazioni e problemi si avvicinano ad un compimento o a soluzione (dal latino solutus, sciolto; liberazione, dissolvimento) il Sé diminuisce.     







         

Sulla materia onirica

  




"L'uomo è un genio quando sogna"
(Akira Kurosawa)



Sigmund Freud volle conoscere a fondo la natura e la materia costitutiva dei sogni e la sua curiosità diede scandalo. 

Cominciò dal particolare per arrivare a una visione generale, rivoluzionaria e dettagliatamente clinica dell'interpretazione dei sogni.

Per Freud il linguaggio onirico è il segnale di pressioni inconsce che cercano di risalire alla coscienza. 

Tali pressioni istintuali possono però realizzarsi solo in modo mascherato dato che si tratta di desideri proibiti non ammessi alla coscienza, rappresentabili solo in modo allucinatorio. 

L’interpretazione deve rivelare proprio quest’aspetto clandestino e latente.

Il problema dello stimolo organico come fonte onirica fu ripreso da Freud varie volte nella sua opera fondamentale sul sogno.

Già nel 1° capitolo ricorda come questa fosse l’idea più diffusa tra gli studiosi a lui contemporanei (Wundt, Muller):

"Se diamo per accettato che l’interno del corpo può dar luogo agli stimoli del sogno in condizioni patologiche e se ammettiamo che la psiche, estraniata dal mondo esterno durante il sonno, può rivolgere all’interno dell’organismo un’attenzione maggiore, risulta ovvio ammettere che gli organi non hanno bisogno d’ammalarsi per dare origine a eccitamenti che, giunti alla psiche dormiente, si trasformeranno poi, in un modo qualsiasi, in immagini, oniriche. Questa è la teoria sull’origine del sogno prediletta da tutti gli autori medici." 
(Freud S., L’interpretazione dei sogni, 1899)

Nello stesso capitolo aveva già ricordato il pensiero di Tissiè, che aveva affermato che gli organo malati conferiscono al contenuto onirico un’impronta caratteristica (i malati di cuore ad esempio, fanno sogni brevi, con morti improvvise e carichi di angoscia, i tubercolosi invece riportano sogni di soffocamento, di mischia o di fuga).

Anche Schopenauer aveva d’altronde affermato che: 

"Di notte, cessato l’effetto assordante delle impressioni diurne, quelle che emergono dall’interno dell’organismo riescono ad attirare su di sé l’attenzione della psiche che trasformerà gli stimoli in figure che occupano lo spazio e il tempo, che si muovono sul filo conduttore della causalità."

Freud torna sull’argomento nel 5° capitolo, dove distingue tre tipi di fonti di stimolo somatiche: gli stimoli sensoriali oggettivi, provenienti da oggetti interni, gli stati di eccitamento interno degli organi di senso e quelli somatici provenienti dall’interno del corpo.

Ribadendo la diffusa accettazione di quest’impostazione, Freud comincia però a metterla in discussione, almeno come unica teoria capace di spiegare le origini del sogno. 

Cita così gli studi di alcuni autori (Culkins e Burdach) che affermano che nello stato di sonno esiste non tanto un’incapacità a interpretare gli stimoli sensoriali, quanto una mancanza di interesse per essi.

"Niente di organico è senza senso, niente di psichico è senza corpo.
(Von Weizsacker)

Seguendo invece l’opinione corrente, Scherner aveva cercato d’individuare le attività psichiche che fanno sorgere, dagli stimoli somatici, le variopinte immagini oniriche. 

Nella libera attività di fantasia sciolta dai legami diurni, il lavoro onirico tende, secondo Scherner, a rappresentare simbolicamente la natura dell’organo da cui parte lo stimolo e il tipo di stimolo.

Ne risulta così una specie di libro dei sogni, una guida all’interpretazione, per il cui mezzo è possibile dedurre dalle immagini oniriche sensazioni corporee, stati di organi e tipi di eccitamento.

Freud, pur accettando la fonte somatica del sogno, esprime la sua preoccupazione che il campo in cui si debba attingere l’interpretazione venga ristretto in un ambito troppo particolare, che tra l’altro, gli sembra precludere il suo tentativo di evidenziare la funzione fondamentale del sogno come espressione di un desiderio rimosso, per questo scrive:

"Resta da trovare, nell’ambito della nostra teoria, una sistemazione a quei fatti sui quali si basa la teoria corrente degli stimoli fisici. 
Gli eccitamenti corporei diventano anch’essi importanti nel sogno, in quanto sono attuali, e vengono congiunti con le altre attualità psichiche per fornire materiale per la creazione del sogno. 
In altre parole, durante il sonno gli stimoli vengono elaborati in un appagamento di desiderio, le altre componenti del quale sono date dai residui diurni psichici a noi noti. 
L’essenza del sogno non risulta alterata se alle fonti psichiche si aggiunge materiale somatico; esso rimane un appagamento di desiderio, indipendentemente dall’espressione che ad esso conferisce il materiale attuale." (Freud)

Abbandono o dominio e costi psichici

  




"La psicoterapia ha a che fare con due persone 

che giocano insieme"

(Carl G. Jung)



Una delle caratteristiche principali dello sviluppo umano è la lunghezza del periodo di immaturità comportamentale del piccolo. Si suppone che il decennale sviluppo dell'organismo esponga il soggetto alla formazione di nevrosi caratteriali.

Per molti anni il bambino non potrà che considerare se stesso debole e gli adulti potenti. 

Una caratteristica dell’immaturità emotiva in età adulta è proprio il considerarsi relativamente debole nei confronti di qualcosa relativamente più forte.

Se una persona si ritiene debole e indifesa rispetto agli altri può reagire in due maniere opposte. 

Può attaccarsi a loro in quanto capaci di concedergli aiuto e protezione o evitarli in quanto potenziali minacce di sopraffazione e restrizione alla libertà personale.

Di solito il bambino mostra entrambi i comportamenti.

Nella situazione transferale nel corso di una psicoterapia questi atteggiamenti sono riprodotti fedelmente e possiamo vederli in tutti i pazienti, sebbene di norma è l’uno o l’altro a predominare.

Lo psicoterapeuta esperto sa che esistono due tipi estremi di paziente che gli procurano difficoltà. 

C’è il tipo che fa ogni sforzo per compiacerlo e avvicinarglisi, gli si attacca disperatamente e pare intensamente interessato alla terapia.

L’altro cerca di tenerlo distante, evita i rapporti personali e si rivela indifferente a qualsiasi sforzo terapeutico.

Il primo si comporta come se il terapeuta fosse sempre sull’orlo di abbandonarlo, l’altro come se il terapeuta fosse una continua minaccia alla sua esistenza indipendente.

Il primo atteggiamento è caratteristico delle personalità più estroverse, il secondo di quelle introverse.

Entrambi sono atteggiamenti essenzialmente negativi, basati su due diversi tipi di paura. L’atteggiamento più estroverso può essere visto come depressivo, quello più introverso come schizoide.

La paura di essere abbandonato appartiene agli estroversi, isterici, ciclotimici, maniaco-depressivi.

La paura di essere dominato appartiene agli introversi, ossessivi-schizoidi, agli schizofrenici.

Il soggetto schizoide evita accuratamente ogni rapporto di carattere personale, ha un’aria distaccata e dà l’impressione di non avere bisogno degli altri. 

Sia nel dare che nel ricevere mostra di avere problemi dato che deve difendersi dalla possibilità che si instauri un legame. Nel caso sia fobico, lo schizoide tende alla claustrofobia.

Fairbairn afferma che questi tipi umani siano incapaci di dimostrare affetto perché sono arrivati a credere che il loro tipo di amore sia pericoloso o funesto per gli altri.

I valori del soggetto schizoide sono ammucchiati tutti nel suo mondo interiore e ciò gli fa sottovalutare l’importanza degli altri e la loro capacità di essere dei buoni contenitori emotivi.

Per questo lo schizoide fa una pessima prima impressione: trovarsi di fronte a qualcuno a cui non interessa fare buona impressione e essere apprezzato è un’esperienza altamente frustrante.

La paura di essere abbandonato porta invece il paziente di tipo depressivo ad attaccarsi a qualunque costo. 

Egli teme di rimanere solo e quindi tenderà a farsi travolgere da situazioni emotive riguardanti altri e a identificarsi troppo con esse.

La sua difficoltà principale è mostrare aggressività nei riguardi del prossimo che invece dev’essere sempre placato perché non lo abbandoni.

Gli altri sono sopravvalutati e il pericolo è che il soggetto finisca per considerarsi insignificante.

Dato che gli altri sono sopravvalutati il paziente tende a dare una prima impressione gradevole e se è fobico soffrirà molto probabilmente di agorafobia perché teme maggiormente di essere lasciato solo in uno spazio vuoto.

A causa del desiderio ansioso del paziente di fargli piacere, il terapeuta può facilmente sopravvalutare i suoi progressi, ma sarà lo stesso paziente a resistere ai progressi del trattamento per prolungarlo all’infinito.

Il pericolo principale del paziente depressivo è quello di perdersi in quanto personalità, perché la sua dipendenza lo porta a una iper-identificazione con gli altri.

In questo caso il terapeuta dovrà fare attenzione alle forze seduttive che governano il campo della terapia, mentre nel caso del paziente schizoide dovrà gestire le forze aggressive controtransferali, reattive alla paranoia del paziente.


Alienazione, memoria e linguaggio


 


"Il consenso è alienazione gioiosa"

(Jean Bothorel)

 


Com'è possibile non essere se stessi? 

Eppure riusciamo ad afferrare il senso che questa frase può esprimere. 

Indica una condizione che conosciamo e che comporta un qualche cambiamento fondamentale nell’equilibrio del nostro essere, una spiacevole disgregazione del sentimento di esistere, del nostro senso di noi stessi.

Molte persone non vivono completamente il proprio Sé. 

Un altro sistema irrompe nella vita psichica invadendo o mettendo completamente fuori gioco i sentimenti e il tipo di attività mentale che stanno alla base del senso di essere se stessi.

Questo sistema può essere composto di memorie di passate, disgregazioni del senso di Sé. 

Queste memorie sono inconsce in quanto sono conservate in un sistema di memoria che è diverso da quello che supporta la coscienza abituale. 

Queste memorie non sono vissute come tali, ma vengono collocate nel presente.

Per molte persone l’irruzione di questo sistema dirompente è transitoria e non stravolge la vita quotidiana. Se ne va, dopo un breve periodo di fastidio, di ansia o di sconforto. 

Per altre persone essa rappresenta un ostacolo. Il suo effetto è dannoso per le relazioni e debilitante per le capacità di adattamento, oltre a impedire la crescita personale.

L’irruzione di questo sistema di memorie traumatiche causa alienazione.

La persona si sente come estraniata rispetto agli altri ed esclusa dal sentimento fondamentale che è al cuore del Sé. 

La gestione dei sistemi di memoria traumatica che possono essere considerati dissociati è uno dei compiti di chi lavora in campo psicoterapeutico.

William James vedeva il Sé come una consapevolezza del flusso di vita interiore e lo chiamava flusso di coscienza

Russell Meares ha ampliato questo concetto tanto da considerare il Sé come una speciale forma di dialogo. La sua idea si basa sulla distinzione tra due forme di linguaggio umano e di dialogo.

Uno di questi dialoghi viene considerato essenziale per il senso del Sé. Esso è non-lineare, associativo e apparentemente senza scopo. 

L’esperienza del Sé si sviluppa in un dialogo che mostri la fisionomia di questo linguaggio, il quale è simile al flusso di coscienza e ad alcuni tipi di gioco. 

È il linguaggio della vita interiore.

Il secondo tipo di linguaggio è logico, lineare e chiaramente mirato, è diretto in larga misura agli eventi del mondo ed è il linguaggio della sopravvivenza e dell’adattamento.

"Le due forme di linguaggio umano si trovano solo in circostanze particolari allo stato puro. Il linguaggio lineare dell’adattamento viene mostrato, non diluito, nei documenti politici e legali; l’altro tipo di linguaggio, in forma alquanto intatta, si trova in alcune forme di poesia." (Meares)   

La maggior parte dei dialoghi comporta una miscela di queste due forme di linguaggio. 

Nel linguaggio lineare impegnato a confrontarsi col mondo esterno sono iscritti elementi di un’altra forma colloquiale che è legata alla vita interiore.

Una maggiore presenza di questo tipo di linguaggio denota intimità.

Vista in questo modo l’intimità dipende dallo sviluppo di esperienze interiori che possono essere condivise con un altro.

L’intimità non equivale alla confessione o alla rivelazione senza freni. 

Una conversazione intima ha un particolare calore, una forma erratica, che sono legati a un sentimento di benessere.

Gli argomenti toccati possono sembrare a prima vista banali: per esempio un film, una situazione di vita quotidiana. Eppure il modo in cui si parla di queste cose risuona di qualcosa, dentro di noi, dall’elevato valore emotivo.

Questo tipo di dialogo si svolge spesso in una coppia o in un’amicizia intima. 

Ma potrebbe trattarsi anche di un estraneo incontrato per la prima volta, magari in un viaggio. 

E sebbene né la sessualità né un particolare affetto siano coinvolti, si tratta di conversazioni intime.

Russell Meares sostiene che sia il Sé che l’intimità dipendono da una particolare forma di memoria. 

Nella conversazione intima una persona è consapevole di immagini del proprio passato, di particolari episodi della propria vita che possono essere visualizzate in maniera quasi filmica.

Una conversazione intima è associata a un’accentuata sensazione di essere me stesso.

"Ritengo che il tipo di memoria da cui dipendono il Sé e l’intimità riguardi la rievocazione di episodi del proprio passato. 

C’è una duplicità in questa condizione. Si vive nell’immediato presente e al tempo stesso si è consapevoli di territori diversi dell’esperienza, che appartengono a un altro tempo della propria vita. 

Nel caso della memoria traumatica, tale duplicità viene persa. Non si riesce a comprendere l’origine di quella sensazione di disturbo. Non si riesce a recuperare un passato; l’esperienza è collocata nel presente. In altri termini, è dissociata." (Meares)





  

Specifica posizione caratteriale

  



"L'angoscia è la disposizione fondamentale
che ci mette di fronte al nulla"

(Martin Heidegger)


Il carattere di una persona è una funzione delle forze che la governano e per capirne il valore dinamico Wilhelm Reich ha elaborato il concetto di armatura caratteriale.

Secondo la psicoanalisi l’Io dell’individuo durante il conflitto fra pulsione e paura di punizione assume una determinata struttura difensiva. 

"Per realizzare la limitazione della pulsione imposta dall'ambiente e per padroneggiare l’ingorgo di energia che ne risulta, l’Io deve modificarsi; noi ci esprimiamo in termini finalistici ma intendiamo un processo che è interamente causale." (Reich) 

L’Io, cioè la parte esposta della persona, si irrigidisce quando si trova continuamente nella stessa situazione conflittuale fra bisogno e mondo esterno minaccioso; acquista un modo reattivo cronico che funziona automaticamente, cioè acquista il suo carattere. 

E’ come se la personalità affettiva si corazzasse, come se i colpi provenienti dal mondo esterno e le esigenze dei bisogni interiori si appiattissero e si indebolissero urtando contro la scorza dell’armatura. 

L’armatura ha la funzione di rendere l’individuo meno sensibile al dispiacere ma limita anche la mobilità energetica e aggressiva della persona e diminuisce la capacità di realizzazione e di piacere. 

L’Io è meno mobile, è diventato più rigido e dal grado dell’armatura dipende la capacità dell'individuo di ordinare l’economia delle energie pulsionali. 

L’armatura caratteriale consuma energia perché si mantiene con il continuo consumo di forze vegetative che altrimenti (nel caso di una loro inibizione motoria) potrebbero produrre angoscia. 

In questo modo l’armatura caratteriale adempie alla funzione di elaborare e consumare l’energia vegetativa.

Dallo smantellamento che ne viene fatto in psicoterapia risulta regolarmente, in un primo tempo, un’aggressività legata.

Quando nell’analisi del carattere si riesce a liberare l’aggressività contenuta nell’armatura si libera angoscia. 

L’angoscia può essere trasformata in aggressività così come l’aggressività può essere trasformata in angoscia.

L’inibizione dell’aggressività e l’armatura psichica vanno di pari passo con un tono muscolare aumentato, spesso addirittura una rigidità della muscolatura delle estremità e del tronco. 

I malati, affettivamente bloccati, sono sdraiati in modo totalmente rigido e immobile. Non è facile operare una modifica della loro tensione muscolare. 

Se si dice al paziente di rilassarsi volutamente la tensione muscolare viene sostituita da inquietudine. 

In altri casi i pazienti eseguono involontariamente movimenti di diverso tipo la cui inibizione provoca immediatamente sensazioni di apprensione. 

Questo stesso tipo di osservazioni indusse Ferenczi a costruire degli interventi tecnici attivi. 

Egli scoprì che l’impedimento di reazioni muscolari croniche aumenta l’ingorgo energetico. 

Reich collegava questo fenomeno a qualcosa di più complesso di semplici modifiche quantitative dell’eccitazione. 

Egli si riferiva all’identità funzionale fra armatura caratteriale e ipertonia muscolare o rigore muscolare:

“Ogni aumento del tono muscolare, verso la rigidità, è un segno che un’eccitazione vegetativa, l’angoscia o la sessualità sono state legate. 

Se si manifestano sensazioni genitali, parecchi pazienti riescono ad eliminarle o ad attenuarle con l’inquietudine motoria; è esattamente ciò che accade quando si elaborano sensazioni di apprensione. 

Pensiamo alla grande importanza che riveste l’irrequietezza muscolare nella prima infanzia come scarica di energia.”







  

La psicoterapia e lo spazio del Sé

  




"L'anima nasce vecchia e diventa giovane: ecco la commedia della vita.

Il corpo nasce giovane e diventa vecchio: ecco la tragedia della vita."

(Oscar Wilde)



Tom Bower afferma che la vita del bambino è costituita da una moltitudine di spazi che in quella dell'adulto non esistono. 

Egli verificò l'ipotesi di Piaget secondo cui per il bambino l'identità degli oggetti è creata dalla loro posizione o dal loro movimento. 

Se una sedia viene messa prima davanti a una libreria e poi spostata e messa di fronte a un muro, diventa una sedia diversa poiché occupa una nuova posizione. 

Per il bambino ci sono molti oggetti dove per l'adulto ce ne sono pochi. 

La frammentarietà dell'esistenza personale dei bambini risulta evidente anche dai loro dialoghi. Ciò che è vero sembra esserlo solo per quel momento. 

Questa verità sembra non avere alcun nesso con la situazione di alcuni minuti dopo.

"Fin verso i sette/otto anni i bambini non si preoccupano di avere un'opinione unica su un dato argomento. Certo non pensano la contraddizione, ma adottano successive credenze, che se confrontate, sarebbero contraddittorie." (Piaget)

Il processo di unificazione comincia con una temporalizzazione dell'esperienza. 

Il prima e il dopo permettono una costanza dell'oggetto e una riduzione della molteplicità dell'esperienza, che nella narrazione diventa sequenza di accadimenti e condensazione dell'esperienza percettiva. 

Il luogo, insieme al tempo, nella condizione analitica, permettono al terapeuta di superare la frammentazione e la discontinuità dell'esperienza nella relazione col paziente. 

Il corpo è il luogo di questa condensazione, nei suoi sistemi di afferenze e percezioni propriocettive, l'unità psico-fisiologica del terapeuta riduce l'esperienza a una forma di contatto col paziente, sempre più precisa nei luoghi e costante nel tempo. 

La storia crea un significato tra i misteri e gli eventi slegati, aiuta il paziente a costruire una realtà personale. Le storie sono "atti di significato" (Bruner). 

Questo tipo di narrazione è carente nei dialoghi con coloro il cui sviluppo è stato compromesso. 

Pierre Janet, che si occupò di moltissimi individui sulle cui vite i traumi avevano lasciato profonde cicatrici (nel complesso descrisse 591 pazienti, individuando in 257 di loro un'origine traumatica della psicopatologia), notò che queste persone non erano in grado di riunire adeguatamente le varie parti della loro esistenza. 

Il loro deficit principale, a suo modo di vedere, era un'incapacità di "sintesi personale".

"Essi mostrano una carenza di unità mentale." (Janet)

Inoltre, il modo di conversare dei suoi pazienti era simile a un resoconto.

"Vivono ogni giorno senza immagini del futuro o ricordi del passato, raccontando la stessa storia monotona, giorno dopo giorno." (Janet)

Il lavoro dello psicoterapeuta tende alla costruzione di una storia che potrebbe ricollocare gli eventi e metterli in sequenza. 

La sincronizzazione tra il tempo non-lineare del corpo e il tempo lineare della relazione e del dialogo potrebbero contribuire allo sviluppo degli aspetti terapeutici della relazione. 

La memoria lineare, della mente del cliente, potrebbe cominciare a confrontarsi con la memoria inconscia e non-lineare del suo corpo, in uno scambio proficuo nel quale, il cliente avrebbe l’opportunità di dare più spiegazioni alla sua storia.

Questa capacità è quella che Bruner individua in una certa età dell'evoluzione del bambino:

"Lo sviluppo di un pensiero narrativo e di uno paradigmatico." (Bruner)

I due differenti linguaggi (espressione del pensiero) sono diretti a due diversi orientamenti. 

L'utilizzazione cosciente che il terapeuta fa di queste due modalità di funzionamento gli permettono di utilizzare il pensiero narrativo nel linguaggio dell'adattamento e utilizzare il pensiero paradigmatico nel linguaggio del simbolismo corporeo. 

Nell'area dell'adattamento il terapeuta si pone in relazione e costruisce la sua immagine di fronte al paziente, quali sue parti sono viste e possono agire nella relazione. 

Gradualmente si delinea un'identità del terapeuta in relazione con quel paziente e con nessun altro. 

Nell'area del simbolismo, il pensiero non-lineare diventa la forma di linguaggio del Sè terapeutico, che nel terapeuta è legato a un'esperienza intima che ha del cliente. 

Nella vita quotidiana queste due sfere dell'esistenza sono unite, connesse e contenute nel corpo quindi, parlarne in termini di separatezza ha soltanto carattere esplicativo riguardo al setting terapeutico.

La terapia richiede il coordinamento di questi due ambiti e delle differenti forme di attività mentali che ne sono alla base. 

Questo coordinamento prende forme diverse in momenti diversi dell'esperienza terapeutica. 

In alcune circostanze la modalità di pensiero lineare sarà prevalente, in altre, nel caso per esempio della reverie (concetto di Wilfred Bion per indicare la sintonizzazione mentale-corporea tra madre e figlio) passa in primo piano il paradigmatico e associativo pensiero non-lineare del corpo. 

Le caratteristiche con cui ogni terapia diventa un'esperienza è influenzato dallo stato di questo coordinamento e dal modo in cui la fiducia che il paziente ha nella figura del terapeuta permette quest'esperienza.

La familiarità che il terapeuta ha con i suoi linguaggi (cognitivo e simbolico) e l'utilizzo congruo che ne può fare in seduta permettono al paziente di sviluppare un attaccamento sicuro. 

Lo spazio del Sè terapeutico che nasce dal linguaggio non-lineare e che si basa sulla relazione intima tra i due è molto più fragile dello spazio dell'adattamento, formato nella sequenza lineare dell'interazione cognitiva. 

A riguardo Jeremy Holmes afferma che:

"Lo spazio del Sè deve potersi realizzare attraverso attaccamenti sicuri che si sviluppano nei confronti delle persone che si prendono cura di lui, che hanno risposto in modo sensibile e adeguato alle richieste del soggetto. 

In tal modo si sviluppa un sentimento di fiducia e questo sentimento permette di utilizzare i simboli e di esercitare la funzione narrativa."