Dipendenza affettiva e il vortice di parole


  


"Chi dice in venti parole
ciò che può essere detto in dieci,
è capace anche di tutte le altre cattiverie"
(Giosuè Carducci)



I motivi di una comunicazione subliminale con finalità manipolative possono trovarsi in una personalità dominata dall’intolleranza alla separazione, dal bisogno di un controllo onnipotente, dall’invidia, dalla mancanza di fiducia e dall’ansia persecutoria.

L’intolleranza alla separazione esiste in quei soggetti che, per mantenere il proprio senso d’integrità, devono dipendere da un oggetto esterno: una costante attenzione, il contatto fisico, una continua verbalizzazione possono avere funzioni contenitive di pelle mentale

L’oggetto esterno al quale ci si rivolge tiene insieme le parti del Sé e permette la formazione di uno spazio vitale interno capace di contenere la realtà psichica.

Il controllo onnipotente nasce da un’insufficiente scissione e idealizzazione del Sé e degli oggetti, per cui una comunicazione segreta proiettiva e manipolativa sostituisce una normale relazione attraverso dei tentativi di patto narcisistico. 

L’onnipotenza deve essere accettata dall’altro e condivisa in una comunicazione nella quale l’interlocutore si presta a una manipolazione che permetta (per effetto di un'estensione onnipotente del Sé) di percepire un controllo sul mondo e sugli oggetti che lo compongono.

L’invidia alimenta gli strati subliminali della comunicazione con le evacuazioni mentali tossiche dell’odio e della frustrazione di cui il soggetto è portatore, nel tentativo di liberarsi dalla sua rabbia frustrata. 

In questo caso il soggetto proverà a proiettare completamente il vissuto dell’invidia e far identificare il suo interlocutore con questo sentimento. 

L’obiettivo è farlo sentire invidioso e potersi trovare nella condizione di essere invidiato.

La mancanza di fiducia nasce da proiezioni distruttive. Quando la comunicazione è collegata alla segretezza o all’inganno o alla percezione dell’altro come soggetto astuto, ne consegue sfiducia e un senso di claustrofobia. 

L’altro, nella sua apparente vulnerabilità, è percepito come potente e sospettoso. 

L’individuo che attua una comunicazione subliminale nella quale compaiono questi elementi paranoici, tende a vivere la propria vita come un film di avventura e immagina il mondo come una sfida continua.

L’ansia persecutoria può costituire un’intensa vibrazione di fondo nella comunicazione subliminale manipolativa con carattere proiettivo. 

Questa condizione nevrotica della personalità, detta anche paura senza nome (Bion) o terrore (Meltzer), può arrivare a livelli così alti d’intensità, seppur sempre in una dimensione inconscia, da rendere insopportabile la comunicazione o sfiancante il suo esito. 

La proiezione d’ansia persecutoria è un attacco massiccio alla personalità del soggetto che ascolta, il quale può avvertire una serie di segnali, anche corporei, la cui origine è ignota, testimonianza di un processo di bombardamento psichico in atto. 

Il comunicatore manipolativo opera una proiezione particolarmente intensa nel suo interlocutore perché non solo cerca di liberarsi inconsciamente dell’ansia, ma soprattutto tenta una disintossicazione dalle fantasie paranoiche attraverso un’immissione nella psiche di chi lo ascolta dell’oggetto persecutorio.


A proposito dell'abulia isterica

  




"E' di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria"

(José Saramago)



"All’origine di alcuni sintomi isterici possono trovarsi dei ricordi di sofferenze, un simbolo mnestico che si aggiunge al versante organico delle sofferenze specifiche dell’isteria." (Freud)

Queste osservazioni cliniche anticiparono e influenzarono ciò che Winnicott affermò sulla scissione dissociativa tra la mente e lo psico-soma e sugli atti di forzatura che un soggetto isterico può fare su di sé immagazzinando l’esperienza sensoriale traumatica sul piano fisico.

L’essenza della dissociazione consiste nel fatto che la mente, per proteggere la propria illusione di un senso di sé unitario dalla potenziale minaccia di un’esperienza di violazione traumatica non elaborabile cognitivamente, è disconnessa dallo psico-soma.

Questo può portare a sintomi come l’agorafobia e a quello che Freud ha interpretato come una sua inibizione nella volontà: l’abulia.

"Una perdita di volontà può essere meglio compresa come l'esito di un processo occultato di dissociazione." (Bromberg)

Poiché la forza di volontà, la disponibilità e l’agency della persona possono essere limitate a una qualsiasi delle funzioni eseguite dallo stato del Sé dissociato che ha accesso in quel momento alla mente. 

Quello che viene visto più frequentemente da un terapeuta che stia trattando un sintomo isterico, rappresenta una modalità specifica dell’esperienza di sé del paziente che non ha possibilità di accesso, o ha un accesso limitato, agli altri aspetti della realtà, espressione di sé o modalità relazionale.

La capacità di agire in maniera risoluta (quello che chiamiamo forza di volontà) non è inibita nel senso di una soppressione totale ma è ridistribuita negli stati della mente scollegati, portando a una personale dinamica in cui alcuni stati del Sé sono caparbi mentre altri appaiono inibiti e in allerta.

Da questa prospettiva l’inibizione dell’azione e gli scoppi di azione isterici sono collegati e l’azione diventa implacabile nella sua forza.

Osservando l’anoressia come forma di abulia, Freud affermava che le abulie sono paralisi psichiche molto specializzate, per cui l’anoressia è una soluzione riguardo al problema che è impossibile mangiare contemporaneamente con disgusto e con piacere.

Questa formulazione parla della funzione adattiva basilare della dissociazione quando il proprio senso di sé sovra-ordinato non può contenere nello stesso istante due modalità di relazione con lo stesso oggetto, incompatibili tra loro.

Nella sua forma più generale essa protegge la persona dal sentirsi impossibilitata nel rispondere in maniera autoriflessiva con sentimenti di paura e di sicurezza verso lo stesso oggetto, nello stesso istante.

Accade quindi, come nell’anoressia e in maniera inevitabile, una paralisi psichica perché lo psico-soma è disconnesso dalla mente rispetto al mangiare e questa paralisi prepara il soggetto all’accesso isterico massiccio.


Muscoli estensori, ansia e quattro profili corporei

  




"Ansia. Questo penoso sentimento d'attesa"
(Eliane Amado Levy-Valensi)




Negli stati di ansia viene fisicamente accentuata l’inibizione dei muscoli estensori e le persone che si trovano in questo stato sembrano incapaci di estensione corporea completa.

Uno stato cronico di ansia inibisce i muscoli antigravitari (estensori) e per effetto della relazione fra eccitazione vestibolare e regioni cardiaca e diaframmatica, trattenere il respiro e contrarre i flessori attenuano le sensazioni legate all’ansia.

Se questo modello di trattenimento si integra nella postura il portamento non è più completamente eretto e la posizione in piedi è mantenuta dalla tensione muscolare superflua per cui la persona deve compiere uno sforzo volontario per rimanere dritta.

La curva cervicale e quella lombare si accentuano e la mancanza di tono dei muscoli antigravitari, e specialmente di quelli che collegano le spalle al collo e le anche al bacino, finiscono per far spostare il baricentro in avanti; i flessori delle dita dei piedi sono costretti a portare più peso di quanto possano sopportare in permanenza e sono costretti a contrarsi e finiscono per torcersi o per cedere.

"Quando il corpo sta in piedi in equilibrio stabile, il baricentro è appena al di sopra delle spine iliache antero-superiori e a metà distanza fra le due; una linea verticale calata dal baricentro passa appena avanti al ginocchio e ai malleoli e tocca terra entro l’area compresa tra i piedi, cioè entro la base d’appoggio" (Feldenkrais).

La definizione di equilibrio "stabile" è meccanicamente impropria e dovrebbe essere sostituita da quella di equilibrio "instabile". 

Ci sentiamo stabili con il baricentro più in alto possibile perché questa posizione è la più facile da ripristinare dato che il sistema nervoso è particolarmente adatto a raddrizzare il corpo e portarlo in questa posizione. 

È avvertita come stabile per via dell’abitudine che abbiamo a tornarci ma meccanicamente per definizione è instabile.

Nei casi in cui la stazione eretta viene mantenuta in condizioni vicine alla postura ideale un piano verticale passante per il baricentro e parallelo alle spalle attraversa la parte anteriore dell’articolazione della caviglia e l’apertura dell’orecchio (meato uditivo esterno).

Se si misura l’angolo formato da questa linea, la verticale che sale dall’articolazione della caviglia e dalla linea che unisce il meato uditivo al davanti del malleolo, si possono dividere le persone misurando la distanza tra queste due linee su un piano orizzontale.

La tabella detta Harvard University Chart, che fa parte dello studio Body Mechanics in Health and Disease di Joel H. Goldthwait, viene utilizzata per classificare la meccanica corporea e fornisce quattro profili:

Profilo 1 – Eccellente uso meccanico del corpo
1.     Capo direttamente al di sopra del torace, delle anche e dei piedi
2.     Petto in alto e in avanti
3.     Addome rientrato e piatto
4.     Usuali curve della schiena: non esagerate

Profilo 2 – Buon uso meccanico del corpo
1.     Capo troppo in avanti
2.     Petto non così in alto e in avanti
3.     Addome: cambiamento minimo
4.     Schiena: cambiamento minimo

Profilo 3 – Mediocre uso meccanico del corpo
1.     Capo in avanti rispetto alla gabbia toracica
2.     Petto appiattito
3.     Addome rilasciato in avanti
4.     Curve della schiena esagerate

Profilo 4 – Uso meccanico del corpo molto scadente
1.     Capo ancora più in avanti
2.     Petto ancora più appiattito e più indietro
3.     Addome completamente rilasciato, cadente
4.     Schiena: tutte le curve esagerate all’estremo

Serial lovers



  


"Essendoci liberati dalle vecchie forme palesi di autorità, 
non ci rendiamo conto di essere caduti preda di una forma nuova di autorità. 
Siamo diventati automi che vivono nell'illusione di essere individui autonomi"
(Erich Fromm)



Il mantenimento in età adulta delle relazioni narcisistiche onnipotenti caratteristiche dell'infanzia e dell'adolescenza, è tipico delle persone che non riescono ad accedere ai propri sentimenti di tenerezza e perdono a causa degli ostacoli emotivi costituiti dalla paura e dalla rabbia.

In queste persone gli impulsi distruttivi sono slegati e dominano attivamente la loro intera personalità e i loro rapporti interpersonali.

Costoro nelle relazioni esprimono i loro sentimenti mascherandoli appena: svalutano con persistente indifferenza, hanno un comportamento subdolo e a volte sono apertamente denigratori.

Affermano la loro presunta superiorità guastando o distruggendo le cose fatte da altri, denigrano e sviliscono, commentano e danno consigli non richiesti che sono la forma travestita di un giudizio negativo sull'operato altrui.

Si percepiscono superiori perché riescono a controllare e a ritirare quelle parti di sé che vogliono dipendere dagli altri e ricevere aiuto e cura.

Si comportano come se la perdita di qualsiasi amore oggettuale, compreso il care-giver o il/la partner, li lasciasse indifferenti e addirittura stimolasse un sentimento di trionfo.

Queste persone a volte sperimentano vergogna e una certa angoscia persecutoria, ma quasi mai il sentimento della colpa, perché solo una piccola parte del loro Sé libidico è rimasta in vita e può provare interesse per gli altri.

Non accedendo al sentimento della colpa questi soggetti non entrano in quella che Melanie Klein ha chiamato la posizione depressiva, il che preclude la percezione di una separazione dall’oggetto d’amore e la libertà dalla simbiosi con esso.

Un tale individuo ha affrontato la lotta tra impulsi libidici e distruttivi (cercando di liberarsi dell'amore e dell'interesse per le persone) uccidendo il Sé amorevole e dipendente e identificandosi quasi completamente con quella parte narcisistica distruttiva del Sé che gli dà un senso di superiorità e di ammirazione.

Per Freud questa condizione deriva da un predominio della pulsione di morte, ma altri psicoanalisti hanno scovato l’esistenza di una distruttività attiva diretta dal Sé contro le persone e contro parti dello stesso Sé.

"Il paziente espresse la situazione del suo Sé distruttivo attraverso il racconto di un sogno: un bambino era in stato di coma per causa di un avvelenamento. Si trovava su un letto in un cortile ed era minacciato dal caldo sole che cominciava a splendere. 
Il paziente era vicino al bambino ma non faceva nulla per spostarlo o proteggerlo. 
Aveva solo un atteggiamento critico di superiorità verso il medico che curava il bambino, perché avrebbe dovuto capire che doveva essere spostato." (Herbert Rosenfeld)




Il tono vagale cardiaco del pensiero

  



"Pensare è adattarsi

(Paul Valéry)


Il Sistema Nervoso Autonomo (SNA) ha molte responsabilità da un punto di vista fisiologico perché deve regolare la pressione sanguigna affinché il cervello sia raggiunto da un flusso sanguigno ottimale. 

Inoltre, monitora i gas del sangue e se ci sono variazioni nell’ossigeno e nell’ossido di carbonio, si attivano immediatamente dei parametri cardio-polmonari grazie alla modulazione neurale diretta del cuore, del tono vasomotorio e dei polmoni. 

Durante il processo di regolazione cardio-polmonare, il SNA controlla anche la digestione e il metabolismo e le sue azioni sono importanti per dare supporto alle funzioni vitali ergotropiche (lavoro) o trofotropiche (crescita).

Il sistema vagale è molto importante per la regolazione sia dei processi ergotropici sia di quelli trofotropici. 

Aumenti del tono vagale non solo implicano un aumento dell’output metabolico, ma anche una modulazione dei polipeptidi digestivi e della motilità gastrica. 

Il vago è inoltre importante nella facilitazione dei processi trofotropici. 

Il vago ha effetti inibitori diretti sull’eccitazione del simpatico del miocardio.

Inoltre, il sistema limbico, che gli psicofisiologi considerano come un modulatore dell’arousal del SNA attraverso l’eccitazione del simpatico, ha un’influenza inibitoria diretta sulle cellule che danno origine al vago. 

Le regioni del tronco encefalico che controllano gli efferenti del vago agiscono per provocare un tono vagale più forte, mantenendo dunque gli stati trofotropici, o facilitano la diminuzione del tono vagale per permettere un’immobilizzazione immediata dell’organismo.

La ricerca sulle altre specie dimostra che il tono cardiaco vagale cresce nel corso dello sviluppo (Larson e Porges).

Di fronte a questo aumento del tono vagale aumentano anche azioni di esplorazione e di autoregolazione. Negli studi sui neonati un tono cardiaco vagale elevato è associato con una memoria migliore del riconoscimento visivo.

Porges e DiPietro hanno esplorato nei prematuri la relazione tra tono vagale cardiaco e la reattività comportamentale durante l’alimentazione artificiale. 

Le differenze individuali del tono cardiaco vagale correlano con la reattività comportamentale al metodo utilizzato per l’alimentazione artificiale tramite sondino. 

Allo stesso modo, Huffman e colleghi hanno osservato che i neonati di tre mesi con un tono cardiaco vagale elevato si abituano più velocemente a stimoli visivi nuovi e mostrano una migliore capacità di attenzione sostenuta rispetto a quelli con un tono cardiaco vagale basso.

Grazie alla possibilità di monitorare il tono cardiaco vagale attraverso l’ampiezza dell’Aritmia Seno Respiratoria (ASR) Porges e colleghi sono riusciti a ottenere una valutazione accurata dei meccanismi vagali e della relazione tra il tono vagale e la reattività autonomica. 

Gli studi che hanno usato l’indice del tono vagale sostengono l’ipotesi che il tono vagale sia un buon indicatore dello stress e della vulnerabilità allo stress. 

Porter e allievi hanno dimostrato una sospensione massiva del tono cardiaco vagale in neonati sani durante la circoncisione. 

I neonati con un tono cardiaco più alto mostravano non solo maggiori accelerazioni della frequenza cardiaca, ma anche minori frequenze di pianto durante le procedure chirurgiche. 

Porter e Porges hanno dimostrato in neonati prematuri che differenze individuali nel tono cardiaco vagale erano correlate alle risposte della frequenza cardiaca durante procedure di punture lombari. 







Due tipi di scissione della psiche

  





"Il mondo è un enigma benigno che la nostra follia rende terribile
perché pretende di interpretarlo secondo la propria verità"
(Umberto Eco)



In ogni personalità umana può avvenire un cambiamento strutturale, cronico e specifico che riguarda una scissione della psiche, sia in senso orizzontale che verticale.

La scissione orizzontale della psiche riguarda un livello di funzionamento della personalità più profondo del sistema di difesa della rimozione e più superficiale del sistema di difesa della negazione

In quest'area intermedia si assiste alla proliferazione di oggetti bizzarri sullo sfondo di scenari schizo-paranoidi.  

La scissione verticale della psiche è in correlazione con l’esistenza cosciente e parallela di atteggiamenti psicologici del profondo, che senza scissione apparirebbero incompatibili al soggetto.

"Il feticcio del feticista dev’essere considerato come il contenuto psichico di un settore della psiche scisso verticalmente in profondità. 
La parte dell’Io di questo settore scisso della psiche feticista è sotto l’influenza della parte dell’Es, con cui è in contatto ininterrotto" (Kohut)

Il risultato manifesto, in armonia con questi rapporti strutturali, non è pertanto una convinzione cosciente che il feticcio contenga un potere, ma un continuo adeguamento dei comportamenti del soggetto alla possibilità che ci sia un rapporto tra feticcio e potere.

Il feticista prova desideri coscienti che sono in armonia con la convinzione dell’esistenza di un potere interno al feticcio, convinzione che si situa negli strati più profondi e inconsci del settore scisso della psiche. 

I suoi desideri organizzano la libido (energia vitale) e le sue convinzioni circa il potere dell'oggetto sono l'origine della sua destrudo (energia distruttiva).

Il lavoro terapeutico sulla scissione verticale ottiene buoni risultati se si concentra sull’inflessibilità del Super-Io causa dell'estrema rigidità dei sistemi difensivi del soggetto.

La recessione delle difese è possibile quando il terapeuta permette al Sé grandioso del paziente di muoversi e sperimentare nuove soluzioni protettive, alternative alla scissione, all’interno del transfert con il terapeuta.

Il sistema di difesa della scissione e in particolare quella verticale dipende da un utilizzo perverso che il narcisismo del care-giver ha fatto del narcisismo primario del care-receiver.

La terapia, attraverso i movimenti transferali e controtransferali, intervenendo negli strati profondi in cui i rapporti distorti tra narcisismo adulto e infantile hanno operato, può raggiungere risultati accettabili e ricomporre le scissioni, sia in senso verticale che orizzontale.


Quell'attitudine caratteriale alla malattia

  



"L'ottimista pensa che questo sia il migliore dei mondi possibili.
Il pessimista sa che è vero"
(Oscar Wilde)


Il desiderio d’intimità è vissuto come un flusso di eccitazione lungo la parte anteriore del corpo che coinvolge la bocca, le labbra e le braccia.

È il sentimento che fa protendere il neonato e il bambino verso la madre per avere contatto e nutrimento e il cui appagamento è fonte di beatitudine.

Ma se i bisogni orali del bambino non sono appagati il desiderio permane nella maturità come un dolore persistente al torace e alla gola.

Nel XIX° secolo, quando l’allattamento al seno era diffuso, i bambini conoscevano questa beatitudine. 

Ma se venivano svezzati troppo presto la ricerca di appagamento orale, equivalente alla beatitudine, tendeva a trasformarsi nella ricerca di un amore romantico, che però non poteva realmente soddisfare il bisogno orale.

"Per un adulto l’appagamento è possibile solo al livello realistico della sessualità come orgasmo, non al livello romantico dell’amore come beatitudine." (Reich)

Nell’individuo romantico del diciannovesimo secolo, che era anche sessualmente inibito, il desiderio orale non appagato veniva contenuto nel petto, creando tensioni e sottoponendo i polmoni a uno stress che a sua volta predisponeva alla tubercolosi.

Lo stress emotivo del desiderio orale non appagato non è il solo fattore responsabile della malattia: la persona deve essere esposta al virus. 

Non tutte le persone esposte al virus sviluppano questa malattia, quindi altri fattori come sovraffollamento, nutrimento inadeguato, mancanza di aria fresca, di esercizio fisico e fatica contribuiscono a sottrarre energia alla persona e a renderla incapace di affrontare l’infezione. 

L’attitudine caratteriale è tuttavia il fattore che in larga misura determina il tipo di malattia che si svilupperà se lo stress esistenziale diventerà insopportabile.

Reich afferma che se la tubercolosi può essere considerata la malattia rappresentativa del XIX° secolo, il morbo rappresentativo del XX° secolo è il cancro.

Quale atteggiamento emotivo può avere con il cancro lo stesso rapporto che il romanticismo aveva con la tubercolosi?

Un atteggiamento tipico della seconda metà del XX° secolo è la disperazione.

L’idea che malattia e cultura siano in relazione è espressa da Henry Sigerist: 

"In ogni epoca certe malattie sono in primo piano […] sono caratteristiche di quell’epoca e si adattano perfettamente alla sua struttura."

Anche Wilhem Reich ne "La biopatia del cancro" ha esposto la stessa idea avanzando l’ipotesi che il terreno sul quale si sviluppa questa malattia è la rassegnazione emotiva. 

Ha descritto il processo del cancro come una contrazione dell’energia vitale nel corpo e le cellule tumorali come il prodotto della disintegrazione del tessuto normale.

Ma la disperazione non è la stessa cosa della rassegnazione emotiva, perché la disperazione non esiste senza la speranza: quando questa si perde, la disperazione diventa rassegnazione, che è un arrendersi alla morte. 

Nel malato di cancro questi atteggiamenti emotivi non sono consci: è una sua caratteristica rinnegare la propria disperazione e, più tardi, la rassegnazione emotiva nella quale sfocia.

La negazione della disperazione crea una situazione di stress per l’organismo, che lentamente esaurisce le proprie riserve di energia. 

Ciò è chiaro quando riscontriamo che la negazione si concretizza in un programma di attività apparentemente sensate, avvolte in una facciata di ottimismo.

Il falso ottimismo è una difesa contro la disperazione sottostante, ne impedisce lo sfogo in pianti e lamenti. 

Anche l’attività non porta ad alcun risultato, poiché inconsciamente è volta a negare la disperazione.

Occorre notevole energia e forza di volontà per far sì che il corpo continui a muoversi e a funzionare a dispetto del profondo desiderio di rinunciare e lasciarsi andare. 

Quando alla fine prevale l’esaurimento, l’organismo si rassegna alla morte e lentamente abbandona la vita: si tratta di un processo inconscio, mentre al livello conscio viene fatto ogni sforzo per mantenere la facciata dell’ottimismo e tirare avanti.

"Può sembrare una contraddizione dire che se uno si arrende alla disperazione trova la vita e la gioia, eppure è vero, come spiego in Paura di vivere. La disperazione deriva da esperienze dell’infanzia e rappresenta l’incapacità di conquistare l’amore dei genitori." (Lowen)