"A volte le parole non bastano. E allora servono i colori. E le forme. E le note. E le emozioni" (Alessandro Baricco)
La familiarità che lo psicoterapeuta ha con vari tipi di linguaggio (cognitivo, simbolico, corporeo) e l'utilizzo congruo che ne fa in seduta permettono al paziente di sviluppare un attaccamento sicuro.
Lo spazio del Sè terapeutico che nasce dal linguaggio non-lineare e che si basa sulla relazione intima tra i due è molto più fragile dello spazio dell'adattamento, formato nella sequenza lineare dell'interazione cognitiva.
"Lo spazio del Sè deve potersi realizzare attraverso attaccamenti sicuri che si sviluppano nei confronti delle persone che si prendono cura di lui, che hanno risposto in modo sensibile e adeguato alle richieste del soggetto.
In tal modo si sviluppa un sentimento di fiducia e questo sentimento permette di utilizzare i simboli e di esercitare la funzione narrativa" (Holmes J.)
In caso contrario, la mancanza di fiducia è un elemento generalmente conseguente a proiezioni eccessivamente distruttive, del paziente sull'analista, a cui quest'ultimo non ha saputo opporre una graduale e moderata accoglienza attraverso il linguaggio simbolico del corpo.
E' il caso in cui possiamo prendere in considerazione una forma particolare di rapporto terapeutico nel quale il terapeuta si trova a contatto con l'inganno e la segretezza del paziente.
"Quando, nella fantasia, l'ingresso nell'identificazione proiettiva è attuato con l'inganno e con l'astuzia più che con la violenza, la conseguente sfiducia nei confronti dell'oggetto, e quindi la claustrofobia, sono molto intense, poiché l'oggetto, nella sua apparente vulnerabilità, viene sospettato di essere terribilmente astuto.
In questo caso il paziente si presenta in analisi con una decisa predilezione per un mondo 'cappa e spada' e questo fenomeno ha una particolare importanza nella paranoia e negli atteggiamenti perversi" (Meltzer D.)
La relazione terapeutica vissuta come inaffidabile dal cliente assume caratteristiche perverse. Uno dei modi di questa perversione è l'utilizzo che il paziente fa del corpo del terapeuta nella sua fantasia.
Nel desiderio di sentirsi all'interno di una relazione affidabile, o anche in momenti di transito nella relazione terapeutica o verso la fine della terapia, il paziente fa un uso allucinatorio del corpo del terapeuta, attraverso fantasie sadiche e masochistiche.
In terapia, ad una apparente tranquillità o noia, il controtransfert del terapeuta può opporre sensazioni di sessualizzazione e la sua esperienza cosciente può essere quella di sentirsi utilizzato dal paziente e di essere stanco di incontrarlo. Sono momenti nei quali è utile mantenere la calma e la lucidità.
Capire il paziente, in questo caso, significa riuscire a contenere le emozioni suscitate dal transfert:
"Quando ricevo l’odio o l’amore del paziente, mi accorgo di sentirli prima di tutto nelle diverse parti del corpo: variazioni o disturbi della dinamica respiratoria, per esempio, tensione degli arti inferiori, eccetera.
L’emozione portata dal paziente prima di tutto tocca al livello corporeo. Lo psicotico si distingue dal nevrotico perché porta agli estremi un vero e proprio bisogno di emozionare il terapeuta.
Chi più chi meno, però, tutti i pazienti, soprattutto quando stanno affrontando i loro conflitti più gravi, testano il terapeuta come contenitore di quelle emozioni (di quelle parti del sé) che loro hanno il terrore di non saper contenere" (Speziale-Bagliacca R.)
In questi casi, solo se il baricentro del terapeuta è abbastanza basso e gli permette una respirazione costo-diaframmatica e il suo sé psico-corporeo ha raggiunto una sufficiente coesione e tenuta nei confronti degli affetti, gli permetteranno di sentirsi sufficientemente equipaggiato per accettare dentro di sé le violente emozioni che altrimenti il paziente tenderà a far esplodere contro il terapeuta o a scindere e a vivere altrove.
"L’affinamento delle capacità di prendere dentro di sé, anche corporalmente, allargherà lo spettro degli stimoli percepiti e si tradurrà in interpretazioni e interventi più pertinenti, modulati e sensibili" (Downing G.)
Per poter avere una migliore percezione del proprio controtransfert, è determinante che il terapeuta si sintonizzi sulla propria respirazione e che rimanga su di essa, ai margini della propria coscienza, mentre ascolta le parole del paziente.
Con questo e altri espedienti analoghi il corpo riesce ad alimentare un flusso di sottili segnali aggiuntivi; questi possono essere ulteriormente amplificati in qualsiasi momento lo si giudichi opportuno. Speziale-Bagliacca osserva che far entrare in azione il corpo in questa forma comporta un particolare rapporto con il tempo.
Spesso, quando il dialogo terapeutico avviene anche al livello corporeo, risultano più chiare le ragioni per cui occorre seguire una certa gradualità, una registrazione degli incrementi successivi. Talvolta bisogna saper attendere mentre dentro di noi si sviluppa qualcosa.
Il controtransfert può trasformarsi in ogni momento in un labirinto, in un groviglio di potenziale confusione. Ma la consapevolezza della sua presenza e la comprensione dei dettagli dello stato interiore che sta emergendo, sono compiti difficili da svolgere:
"Sembra infatti che una proprietà intrinseca del controtransfert sia di intorpidire la sensibilità del terapeuta" (Downing)
E’ facile che egli avverta solo in forma diffusa, globale, anche le emozioni più intense e che tenda a evitare ogni percezione sensoriale definita. Di qui la grande e potenziale utilità del livello corporeo del controtransfert e il valore conoscitivo e terapeutico del suo approfondimento.
Una reazione corporea è sempre presente in un controtransfert terapeutico, tuttavia essa è spesso percepita vagamente. Il terapeuta può essere tentato di non dare attenzione a ciò che percepisce vagamente in sé. Altre volte può notare appena queste variazioni corporee ma non seguirne l’intero sviluppo.
Ma il corpo è un grande veicolo di informazioni e una fonte di discernimento e insight che, se non sufficientemente ascoltata, potrebbe lasciare nell’oscurità gli aspetti più intimi della relazione tra paziente e terapeuta.
Paul Schilder fu tra i primi a parlare di un controtransfert indotto, dal paziente nel terapeuta, quando ascoltò i propri sentimenti in una seduta di ipnosi con un paziente masochista:
"Ho sentito nascere in me sentimenti e reazioni decisamente sadiche" (Schilder P.)
L’anticipo sui tempi degli scritti di Schilder sul controtransfert (bisognerà aspettare Racker e il 1968, per una trattazione esaustiva sull’argomento) sembra sia dovuto alla sua capacità di esercitarsi a lungo sull’osservazione del flusso e dei mutamenti della propria esperienza corporea.
Questa capacità di sintonizzazione sembra essere decisiva per un accesso più agevole alle sfumature degli stati di controtransfert.
Anche altri contributi furono relativamente ignorati, come quello di Georg Groddeck, nonostante Freud avesse da lui già preso il concetto di Es.
Groddeck parla di una sua paziente che si era comportata come una bambina di tre anni e come ciò avesse interagito con la propria tendenza a comportarsi in modo genitoriale:
"Mi aveva costretto a fare la parte della madre. Quindi mi trovai di fronte a una situazione strana e nuova. Non ero io a curare lei, ma lei a curare me. L’Es del mio prossimo cercava di trasformare il mio Es, anzi lo trasformava effettivamente, in modo da potersene servire per i suoi scopi" (Groddeck G.)