"L'anima nasce vecchia e diventa giovane: ecco la commedia della vita.
Il corpo nasce giovane e diventa vecchio: ecco la tragedia della vita."
(Oscar Wilde)
Tom Bower afferma che la vita del bambino è costituita da una moltitudine di spazi che in quella dell'adulto non esistono.
Egli verificò l'ipotesi di Piaget secondo cui per il bambino l'identità degli oggetti è creata dalla loro posizione o dal loro movimento.
Se una sedia viene messa prima davanti a una libreria e poi spostata e messa di fronte a un muro, diventa una sedia diversa poiché occupa una nuova posizione.
Per il bambino ci sono molti oggetti dove per l'adulto ce ne sono pochi.
La frammentarietà dell'esistenza personale dei bambini risulta evidente anche dai loro dialoghi. Ciò che è vero sembra esserlo solo per quel momento.
Questa verità sembra non avere alcun nesso con la situazione di alcuni minuti dopo.
"Fin verso i sette/otto anni i bambini non si preoccupano di avere un'opinione unica su un dato argomento. Certo non pensano la contraddizione, ma adottano successive credenze, che se confrontate, sarebbero contraddittorie." (Piaget)
Il processo di unificazione comincia con una temporalizzazione dell'esperienza.
Il prima e il dopo permettono una costanza dell'oggetto e una riduzione della molteplicità dell'esperienza, che nella narrazione diventa sequenza di accadimenti e condensazione dell'esperienza percettiva.
Il luogo, insieme al tempo, nella condizione analitica, permettono al terapeuta di superare la frammentazione e la discontinuità dell'esperienza nella relazione col paziente.
Il corpo è il luogo di questa condensazione, nei suoi sistemi di afferenze e percezioni propriocettive, l'unità psico-fisiologica del terapeuta riduce l'esperienza a una forma di contatto col paziente, sempre più precisa nei luoghi e costante nel tempo.
La storia crea un significato tra i misteri e gli eventi slegati, aiuta il paziente a costruire una realtà personale. Le storie sono "atti di significato" (Bruner).
Questo tipo di narrazione è carente nei dialoghi con coloro il cui sviluppo è stato compromesso.
Pierre Janet, che si occupò di moltissimi individui sulle cui vite i traumi avevano lasciato profonde cicatrici (nel complesso descrisse 591 pazienti, individuando in 257 di loro un'origine traumatica della psicopatologia), notò che queste persone non erano in grado di riunire adeguatamente le varie parti della loro esistenza.
Il loro deficit principale, a suo modo di vedere, era un'incapacità di "sintesi personale".
"Essi mostrano una carenza di unità mentale." (Janet)
Inoltre, il modo di conversare dei suoi pazienti era simile a un resoconto.
"Vivono ogni giorno senza immagini del futuro o ricordi del passato, raccontando la stessa storia monotona, giorno dopo giorno." (Janet)
Il lavoro dello psicoterapeuta tende alla costruzione di una storia che potrebbe ricollocare gli eventi e metterli in sequenza.
La sincronizzazione tra il tempo non-lineare del corpo e il tempo lineare della relazione e del dialogo potrebbero contribuire allo sviluppo degli aspetti terapeutici della relazione.
La memoria lineare, della mente del cliente, potrebbe cominciare a confrontarsi con la memoria inconscia e non-lineare del suo corpo, in uno scambio proficuo nel quale, il cliente avrebbe l’opportunità di dare più spiegazioni alla sua storia.
Questa capacità è quella che Bruner individua in una certa età dell'evoluzione del bambino:
"Lo sviluppo di un pensiero narrativo e di uno paradigmatico." (Bruner)
I due differenti linguaggi (espressione del pensiero) sono diretti a due diversi orientamenti.
L'utilizzazione cosciente che il terapeuta fa di queste due modalità di funzionamento gli permettono di utilizzare il pensiero narrativo nel linguaggio dell'adattamento e utilizzare il pensiero paradigmatico nel linguaggio del simbolismo corporeo.
Nell'area dell'adattamento il terapeuta si pone in relazione e costruisce la sua immagine di fronte al paziente, quali sue parti sono viste e possono agire nella relazione.
Gradualmente si delinea un'identità del terapeuta in relazione con quel paziente e con nessun altro.
Nell'area del simbolismo, il pensiero non-lineare diventa la forma di linguaggio del Sè terapeutico, che nel terapeuta è legato a un'esperienza intima che ha del cliente.
Nella vita quotidiana queste due sfere dell'esistenza sono unite, connesse e contenute nel corpo quindi, parlarne in termini di separatezza ha soltanto carattere esplicativo riguardo al setting terapeutico.
La terapia richiede il coordinamento di questi due ambiti e delle differenti forme di attività mentali che ne sono alla base.
Questo coordinamento prende forme diverse in momenti diversi dell'esperienza terapeutica.
In alcune circostanze la modalità di pensiero lineare sarà prevalente, in altre, nel caso per esempio della reverie (concetto di Wilfred Bion per indicare la sintonizzazione mentale-corporea tra madre e figlio) passa in primo piano il paradigmatico e associativo pensiero non-lineare del corpo.
Le caratteristiche con cui ogni terapia diventa un'esperienza è influenzato dallo stato di questo coordinamento e dal modo in cui la fiducia che il paziente ha nella figura del terapeuta permette quest'esperienza.
La familiarità che il terapeuta ha con i suoi linguaggi (cognitivo e simbolico) e l'utilizzo congruo che ne può fare in seduta permettono al paziente di sviluppare un attaccamento sicuro.
Lo spazio del Sè terapeutico che nasce dal linguaggio non-lineare e che si basa sulla relazione intima tra i due è molto più fragile dello spazio dell'adattamento, formato nella sequenza lineare dell'interazione cognitiva.
A riguardo Jeremy Holmes afferma che:
"Lo spazio del Sè deve potersi realizzare attraverso attaccamenti sicuri che si sviluppano nei confronti delle persone che si prendono cura di lui, che hanno risposto in modo sensibile e adeguato alle richieste del soggetto.
In tal modo si sviluppa un sentimento di fiducia e questo sentimento permette di utilizzare i simboli e di esercitare la funzione narrativa."