"L'ottimista pensa che questo sia il migliore dei mondi possibili.
Il pessimista sa che è vero"
(Oscar Wilde)
Il desiderio d’intimità è vissuto come un flusso di eccitazione lungo la parte anteriore del corpo che coinvolge la bocca, le labbra e le braccia.
È il sentimento che fa protendere il neonato e il bambino verso la madre per avere contatto e nutrimento e il cui appagamento è fonte di beatitudine.
Ma se i bisogni orali del bambino non sono appagati il desiderio permane nella maturità come un dolore persistente al torace e alla gola.
Nel XIX° secolo, quando l’allattamento al seno era diffuso, i bambini conoscevano questa beatitudine.
Ma se venivano svezzati troppo presto la ricerca di appagamento orale, equivalente alla beatitudine, tendeva a trasformarsi nella ricerca di un amore romantico, che però non poteva realmente soddisfare il bisogno orale.
"Per un adulto l’appagamento è possibile solo al livello realistico della sessualità come orgasmo, non al livello romantico dell’amore come beatitudine" (Reich).
Nell’individuo romantico del diciannovesimo secolo, che era anche sessualmente inibito, il desiderio orale non appagato veniva contenuto nel petto, creando tensioni e sottoponendo i polmoni a uno stress che a sua volta predisponeva alla tubercolosi.
Lo stress emotivo del desiderio orale non appagato non è il solo fattore responsabile della malattia: la persona deve essere esposta al virus.
Non tutte le persone esposte al virus sviluppano questa malattia, quindi altri fattori come sovraffollamento, nutrimento inadeguato, mancanza di aria fresca, di esercizio fisico e fatica contribuiscono a sottrarre energia alla persona e a renderla incapace di affrontare l’infezione.
L’attitudine caratteriale è tuttavia il fattore che in larga misura determina il tipo di malattia che si svilupperà se lo stress esistenziale diventerà insopportabile.
Se la tubercolosi può essere considerata la malattia rappresentativa del XIX° secolo, il morbo rappresentativo del XX° secolo è il cancro.
Quale atteggiamento emotivo può avere con il cancro lo stesso rapporto che il romanticismo aveva con la tubercolosi?
Un atteggiamento tipico della seconda metà del XX° secolo è la disperazione.
L’idea che malattia e cultura siano in relazione è espressa da Henry Sigerist:
"In ogni epoca certe malattie sono in primo piano […] sono caratteristiche di quell’epoca e si adattano perfettamente alla sua struttura."
Anche Wilhem Reich ne "La biopatia del cancro" ha esposto la stessa idea avanzando l’ipotesi che il terreno sul quale si sviluppa questa malattia è la rassegnazione emotiva.
Ha descritto il processo del cancro come una contrazione dell’energia vitale nel corpo e le cellule tumorali come il prodotto della disintegrazione del tessuto normale.
Ma la disperazione non è la stessa cosa della rassegnazione emotiva, perché la disperazione non esiste senza la speranza: quando questa si perde, la disperazione diventa rassegnazione, che è un arrendersi alla morte.
Nel malato di cancro questi atteggiamenti emotivi non sono consci: è una sua caratteristica rinnegare la propria disperazione e, più tardi, la rassegnazione emotiva nella quale sfocia.
La negazione della disperazione crea una situazione di stress per l’organismo, che lentamente esaurisce le proprie riserve di energia.
Ciò è chiaro quando riscontriamo che la negazione si concretizza in un programma di attività apparentemente sensate, avvolte in una facciata di ottimismo.
Il falso ottimismo è una difesa contro la disperazione sottostante, ne impedisce lo sfogo in pianti e lamenti.
Anche l’attività non porta ad alcun risultato, poiché inconsciamente è volta a negare la disperazione.
Occorre notevole energia e forza di volontà per far sì che il corpo continui a muoversi e a funzionare a dispetto del profondo desiderio di rinunciare e lasciarsi andare.
Quando alla fine prevale l’esaurimento, l’organismo si rassegna alla morte e lentamente abbandona la vita: si tratta di un processo inconscio, mentre al livello conscio viene fatto ogni sforzo per mantenere la facciata dell’ottimismo e tirare avanti.
"Può sembrare una contraddizione dire che se uno si arrende alla disperazione trova la vita e la gioia, eppure è vero, come spiego in Paura di vivere. La disperazione deriva da esperienze dell’infanzia e rappresenta l’incapacità di conquistare l’amore dei genitori" (Lowen).