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"L'ombra del dubbio" di Alfred Hitchcock - 1943 |
Nel corpo c’è qualcosa d’incerto che rende precario il suo
rapporto col mondo.
Heinrich Von Kleist, nel suo “Teatro delle marionette” afferma che, a differenza di quella
animale che è sempre “sicura e adeguata”,
la motricità umana è “turbata dalla coscienza”, per cui invece
di rispondere come l’animale in modo perfettamente adeguato allo scopo, il
movimento umano è trattenuto se non addirittura intralciato dalla riflessione
della coscienza che nella motricità fa la sua comparsa.
Ogni movimento del nostro corpo oltre a stabilire un
contatto con il mondo, veicola anche l’effetto del mondo sul corpo, che incrina
la spontaneità e l’immediatezza del movimento nel suo sviluppo.
Questa impercettibile
crisi, che chiede al corpo una rielaborazione del messaggio del mondo e una
modificazione del movimento successivo, a partire dalla qualità del messaggio
ricevuto, è "l’origine della coscienza, che compare nel movimento come incrinatura del suo fluire spontaneo" (Galimberti U., Psiche e Techne, 1999) .
Ogni atto motorio, oltre a essere agito, è anche avvertito,
ed è questo auto-avvertimento (propriocezione), in cui risuona la risposta del mondo, che origina la
coscienza come interruzione e ripresa della fluidità motoria.
Questa fluidità, che siamo abituati a chiamare grazia, appare purissima.
“La grazia ce l’ha chi
non ha nessuna coscienza o, al
contrario, un’infinita coscienza, cioè nell’animale o in Dio, per i quali il
mondo non costituisce nessuna sorpresa, perché, per l’animale si apre
limitatamente alle possibilità iscritte nella sua motricità istintuale, e per
Dio nell’onnipotenza di uno spazio senza incognite”(Von Kleist H., Sul teatro delle marionette, 1810).
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"Il dubbio" di John Patrick Shanley - 2008 |
La crisi che turba la fluidità dell’atto motorio origina la
coscienza come attesa che giudica in
vista di un risultato, a partire dalla reazione ottenuta in risposta al primo
atto motorio. In quanto apprende dalla reazione ottenuta, la coscienza è
memoria; in quanto organizza la motricità successiva in vista del risultato
atteso, la coscienza è futuro e, muovendo dal futuro, ridefinisce
l’intenzionalità motoria.
Prima di essere una prerogativa dell’apparato psichico,
l’intenzionalità è già iscritta anche nel più elementare atto motorio, che è
comunque sempre orientato, anche quando non è nota la sua attesa anticipatrice.
Se chiamiamo gesto il movimento in
cui è leggibile un’intenzionalità, allora dobbiamo dire che ogni movimento
umano è gesto, e che la sua
gestualità è il primo abito che riveste il corpo umano rendendolo
originariamente espressivo.
L’espressione del corpo riflette lo scenario del mondo che
si delinea dall’incontro e delle cose con i movimenti del corpo. Incontrando
l’intenzionalità dei movimenti, le cose assumono l’aspetto che l’intenzionalità
del movimento conferisce ad esse, e siccome non si ha conoscenza delle cose non
raggiunte, l’uomo conosce solo le cose che sono raggiunte dall’intenzionalità
della sua motricità.
La conoscenza oggettiva (nel senso letterale di ob-jectum, “ciò che sta di fronte”) ha le sue prime radici nella motricità che
non conosce le cose in se stesse, ma appunto nella loro oggettività, nel loro
star contro all’azione motoria che le avvicina e conferisce loro un significato.
Gli elementi di questo confronto compongono le trame della
memoria, che una volta solidificata, elimina crisi e turbamento agevolando la
motricità successiva che, grazie alla memoria, non ricade, come la motricità,
nel cerchio chiuso della ripetizione.
“Possiamo leggere il
rito come l’accumulo di memoria motoria, dove determinate prestazioni corporee,
rigorosamente eseguite, costituiscono la base per azioni future, a partire dal
successo delle azioni precedenti che il rito rievoca e consolida”
(Galimberti U., Psiche e Techne,
1999)