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"Gli amanti" di Egon Schiele - 1917 |
L’uomo che amava le
donne – cineromanzo di Francois Truffaut – racconta l’amore come nostalgia
di un’unità perduta e postula l’incessante
riproposizione del desiderio, unitamente alla redazione di un catalogo capace
di catturare e di sciogliere mediante un’improbabile tassonomia il mistero
insondabile della donna.
L’Eros melanconico di Bertrand Morane esige la propria
duplicazione nel libro, concepito come schedario di una collezione, registro di
contabilità affettiva, censimento di prede, elenco dettagliato dei possibili narrativi costituiti dagli
incontri amorosi.
Se il desiderio di Adéle (Adéle H. di Truffaut) non sembra inscriversi nella regione del
possibile, quello di Bertrand raggiunge prede possibili, ma fatalmente
equivalenti nel rivelarsi inadeguate compensazioni della mancanza originaria:
perciò l’istanza del desiderio non istituisce un regno di possibilità ma
predispone al virtuale, eternamente riproposto come inappropriabile nella sua
peculiare qualità d’assenza.
“Assenza e frammentazione
che ripetono un desiderio che si afferma come infinita libertà: libertà da
qualsiasi principio di selezione ma anche dall’oggetto stesso del desiderio”
(Grignaffini G., L’homme qui aimait le
cinéma, 1978)
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"L'uomo che amava le donne" di Francois Truffaut - 1977 |
Nella sospensione tra l’oggetto d’amore perduto e l’oggetto
di seduzione virtuale s’instaura la libido melanconica che segna le avventure
di Bertrand Morane.
Le occasioni amorose di Morane, più che attestare una
configurazione avventurosa, conseguono un effetto di temporanea
neutralizzazione dell’inquietudine corrosiva, implacabile perché generata e
riprodotta nello stato espulsivo dell’esistenza: le prede, sedotte e censite,
non accedono mai alla modalità progettuale.
L’iper-compensazione che Bertrand oppone alla sottrazione
dell’affetto materno e alla perdita di Véra – l’oggetto a causa del desiderio
(e della scrittura) – è invariabilmente destinata a risultare ipo-compensatoria,
difettiva (come l’effetto placebo di un ansiolitico), una strategia votata allo
scacco come suggerisce l’esito della vita del protagonista, che apre e chiude
il cineromanzo e che non deve essere riduttivamente considerato alla stregua
della classica contrapposizione Eros e Thanatos.
L’uomo che amava le
donne si rivela dominato dal tema del divertissement
(nel senso etimologico di devertere,
volgere altrove).
“L’uomo che amava le
donne si rivela un’opera di ascendenza pascaliana, che dopo Montaigne, analizza
la condizione umana. Egli scopre che tutta l’infelicità umana deriva da una
sola causa, quella cioè di non saper restarsene quieti in una camera. La condizione
umana è fatta d’incostanza, noia, inquietudine. Gli uomini non sanno che
perseguono non già la preda, ma la caccia” (Vozza M., Il mondo delle cose prossime, 1992)
"Donna in poltrona" di Pablo Picasso - 1929 |
Nello scarto tra differenza e ripetizione, Bertrand Morane
esperisce la transitorietà delle forme oggettuali, la disseminazione del
desiderio che non trova pace in un referente univoco; sviluppa un’ostinata
ripetizione che gli restituisce solo parzialmente un rinnovamento della donna,
effimere tracce di imago femminili
che Morane rappresenta simbolicamente, avvalendosi di una percezione
micrologica e onnipervasiva.
In questo nomadismo sentimentale si percepisce in Bertrand
Morane una legalità affettiva che si esprime nel linguaggio del codice civile,
nella sistematica e singolare richiesta che gli venga concesso il diritto di
possedere il corpo della donna amata.