"Parlare molto di sé è un sistema per nascondersi"
(Friedrich Wilhelm Nietzsche)
Questo tipo di persona detta anche personalità verbalizzante produce un linguaggio insensibile, prolisso, privo di affetto, monotono, stereotipato nel contenuto, inflessibile nell'atteggiamento retorico, meccanico nella sintassi e senza significato.
Parlare senza vitalità indica è il segnale che si sta compiendo un inganno: la persona crede di sentire qualcosa e invece sta pensando di sentire quella cosa.
Parlare senza vitalità indica è il segnale che si sta compiendo un inganno: la persona crede di sentire qualcosa e invece sta pensando di sentire quella cosa.
La comunicazione si riduce a una meccanica verbalizzazione delle idee ed è utile come sostituto dell'esperienza.
Parlare costituisce un contatto con la realtà quando crea una buona struttura delle tre persone grammaticali io/tu/esso cioè il parlante, l'ascoltatore e la questione di cui si parla.
Queste tre persone grammaticali rappresentano:
1. Lo stile e il ritmo, l'animazione e il tono, che esprimono i bisogni di colui che parla.
2. L'atteggiamento retorico nella situazione specifica (insegnare, sedurre, costringere, ecc.).
3. Il contenuto o la verità riguardo le cose di cui si parla.
I due archetipi comunicativi che si producono sono il verbalizzatore e il poeta.
Il verbalizzatore manifesta rigidità e un'inflessibile ossessione rispetto alle tre persone grammaticali e produce uno stereotipo sul proprio ruolo sociale per evitare l'angoscia e l'imbarazzo del silenzio o dell'auto-rivelazione.
Mimetizzandosi tra gli aspetti comunicativi e di espressione del parlare la verbalizzazione protegge l'isolamento del verbalizzatore dall'ambiente che lo circonda.
"Colui che verbalizza annoia gli altri perché intende annoiare, pur di essere lasciato in pace" (Perls)
Mimetizzandosi tra gli aspetti comunicativi e di espressione del parlare la verbalizzazione protegge l'isolamento del verbalizzatore dall'ambiente che lo circonda.
"Colui che verbalizza annoia gli altri perché intende annoiare, pur di essere lasciato in pace" (Perls)
Il verbalizzatore si trova in un dilemma: deve attenersi ai fatti della realtà in modo da non sembrare folle o ridicolo anche se non rappresentano il suo interesse reale.
Non può nemmeno osservarli troppo da vicino perché rischierebbe di entrare in contatto con la realtà e provare angoscia. Il compromesso è parlare in termini stereotipati, dire una verità e allo stesso tempo non comunicare nulla.
Non può nemmeno osservarli troppo da vicino perché rischierebbe di entrare in contatto con la realtà e provare angoscia. Il compromesso è parlare in termini stereotipati, dire una verità e allo stesso tempo non comunicare nulla.
Il comunicatore efficace invece attira l'attenzione e danza con le parole come un poeta.
In questo caso la verità viene liberamente deformata e resa un simbolo per il proprio interesse; egli non esita a mentire o a essere irrazionale; sviluppa con grande ricchezza i simboli attraverso l'utilizzazione vivace dei suoi sensi, sottolineando le visioni, i suoni, gli odori e, empatizzando con le situazioni emotive, mette se stesso in esse.
Nel verbalizzatore la mancanza di contatto con l'Io è osservabile nella divisione del corpo in una bocca che emette suoni con movimenti rigidi e rapidi delle labbra, della lingua, con un vocalismo privo di risonanza, e nel resto del corpo tenuto a freno e non impegnato.
Spesso le parole non sono coordinate alla respirazione, escono fuori a sprazzi e il tono è monotono.
Il verbalizzatore, quelle poche volte che sente la propria voce, ne rimane stupito.
Spesso le parole non sono coordinate alla respirazione, escono fuori a sprazzi e il tono è monotono.
Il verbalizzatore, quelle poche volte che sente la propria voce, ne rimane stupito.
Il suo atteggiamento retorico (posizione nei confronti dell'ascoltatore) di solito non è pertinente alla scena sociale nelle quale sui svolge, ma il tono dimostra che si sta ripetendo una scena incompiuta sub-vocale.
L'atto del parlare è un'attività potenzialmente pericolosa che potrebbe dare voce al sub-vocale inespresso e mettere in contatto il verbalizzatore con la frustrazione legata al congelamento dei conflitti.
L'atto del parlare è un'attività potenzialmente pericolosa che potrebbe dare voce al sub-vocale inespresso e mettere in contatto il verbalizzatore con la frustrazione legata al congelamento dei conflitti.
Egli è imbarazzato dall'attività del parlare, impegna espressioni senza senso per guadagnarsi la sicurezza: "non credi?"; "a parer mio..."; "quello che io penso..."; "si sa che...".
La tensione che il verbalizzatore costantemente avverte è il compromesso tra bisogno di comunicare e pericolo di farlo.
La tensione che il verbalizzatore costantemente avverte è il compromesso tra bisogno di comunicare e pericolo di farlo.
L'intensa vibrazione che caratterizza la tensione nel tempo diventa un immobilismo rigido e una mancanza di sensibilità.
Sottratta alla parola il suo potere evocativo, il verbalizzatore la utilizza come struttura e oggetto di identificazione: egli è ciò che dice, non potendo dire chi egli è.
