"Saremmo poveri se fossimo solamente sani"
(Donald Winnicott)
L’emozione portata dal paziente prima di tutto mi investe al livello corporeo.
Lo psicotico si distingue dal nevrotico perché porta agli estremi un vero e proprio bisogno di emozionare il terapeuta.
Chi più chi meno, però tutti i pazienti, soprattutto quando stanno affrontando i loro conflitti più gravi, testano il terapeuta come contenitore di quelle emozioni (di quelle parti del Sé) che loro hanno il terrore di non saper contenere" (Speziale-Bagliacca)
Se il corpo del terapeuta è equilibrato e la respirazione costo-diaframmatica e il Sé hanno raggiunto una sufficiente coesione e tenuta nei confronti degli affetti, gli permetteranno di sentirsi equipaggiato per accettare le violente emozioni che, altrimenti, il paziente tenderà a far esplodere contro di lui o a scindere e a vivere altrove.
"L’affinamento delle capacità del terapeuta di prendere dentro di sé i vissuti del paziente, allargherà lo spettro degli stimoli percepiti e si tradurrà in interpretazioni e interventi più pertinenti, modulati e sensibili" (Downing)
Per poter avere una corretta percezione del proprio controtransfert è determinante che il terapeuta si sintonizzi sulla propria respirazione e che si appoggi su di essa, ai margini della propria coscienza, mentre ascolta le parole del paziente.
Traducendo un termine caro alla bioenergetica, il terapeuta produce un grounding respiratorio.
Con questo e altri espedienti analoghi, il corpo riesce ad alimentare un flusso di sottili segnali aggiuntivi allo scambio verbale, che possono essere amplificati in qualsiasi momento lo si giudichi opportuno.
Speziale-Bagliacca osserva che far entrare in azione il corpo in questa forma comporta un particolare rapporto con il tempo.
Quando il dialogo terapeutico avviene soprattutto ad un livello corporeo (come con gli psicotici) risultano più chiare le ragioni per cui occorre seguire una certa gradualità, una registrazione degli incrementi successivi.
Talvolta bisogna saper attendere mentre dentro di noi si sviluppa qualcosa.
Talvolta bisogna saper attendere mentre dentro di noi si sviluppa qualcosa.
Il controtransfert può trasformarsi in ogni momento in un labirinto, un groviglio di potenziale confusione.
La consapevolezza della sua presenza e la comprensione dei dettagli dello stato interiore che sta emergendo, continuano a essere dei compiti difficili da svolgere da parte del terapeuta:
"Sembra infatti che una proprietà intrinseca del controtransfert sia di intorpidire la sensibilità del terapeuta" (Downing)
E’ facile che egli avverta solo in forma diffusa, globale (anche le emozioni più intense) e che tenda a evitare ogni percezione sensoriale definita.
Una reazione corporea è sempre presente in un controtransfert, tuttavia essa è spesso percepita vagamente e la tentazione (di origine difensiva) potrebbe essere quella di non dare ascolto a ciò che non è ben definito.
Il corpo è un grande veicolo di informazioni e una fonte di discernimento e insight che, se non sufficientemente ascoltata, potrebbe lasciare nell’oscurità gli aspetti più profondi e decisivi della relazione terapeutica.
Paul Schilder fu tra i primi a parlare di un controtransfert indotto dal paziente nel terapeuta quando ascoltò i propri sentimenti in una seduta di ipnosi con un paziente masochista:
"Ho sentito nascere in me sentimenti e reazioni decisamente sadiche" (1922)
L’anticipo sui tempi degli scritti di Schilder sul controtransfert (bisognerà aspettare Racker e il 1968, per una trattazione esaustiva sull’argomento) sembra sia dovuto alla sua capacità di esercitarsi a lungo sull’osservazione del flusso e dei mutamenti della propria esperienza corporea.
Questa capacità di sintonizzazione sembra essere decisiva per un accesso più agevole alle sfumature degli stati di controtransfert.
Anche altri contributi furono relativamente ignorati, come quello di Georg Groddeck, nonostante Freud avesse da lui già preso il concetto di Es.
Groddeck parla di una sua paziente che si era comportata come una bambina di tre anni e come ciò avesse interagito con la propria tendenza a comportarsi in modo genitoriale:
"Mi aveva costretto a fare la parte della madre. Quindi mi trovai di fronte a una situazione strana e nuova. Non ero io a curare lei, ma lei a curare me.
L’Es del mio prossimo cercava di trasformare il mio Es, anzi lo trasformava effettivamente, in modo da potersene servire per i suoi scopi" (1923)
