"Nessun uomo ti farà sentire protetta e al sicuro
come un cappotto di cachemire e un paio di occhiali neri"
(Coco Chanel)
"Vestire non è altro che ricoprire la materialità del corpo che, in quanto sensibile, è senza significato, perché ogni significato è raccolto nella libertà dello spirito, tanto più espressivo quanto più ha dimenticato la vergogna del corpo" (Heghel)
Il corpo è la realtà e nell’abbigliamento si riproduce la varietà degli aspetti di sé per ottenere una chiara corrispondenza col mondo.
Vestire afferma il passaggio dal sensibile al senso, come afferma Heghel, espone il sensibile per liberare le sue possibilità simboliche le quali, adeguando l’identità corporea alla varietà degli aspetti mondani diventano il veicolo attraverso cui il corpo manifesta la sua intenzionalità verso il mondo.
In origine l’abbigliamento era uniforme perché il mondo non era differenziato: una pelle d’animale serviva per tutte le situazioni e tutte le circostanze.
La metamorfosi comincia quando il valore protettivo delle vesti cede il posto a quello simbolico, per cui ogni variazione delle vesti del corpo rinvia a una variazione del mondo.
Avviene una trasformazione dell’uniforme in un sistema rigoroso e molteplice di segni, che descrivono l’ordine culturale e sociale di appartenenza, che il corpo nudo non potrebbe esprimere.
Roland Barthes ne "Il sistema della moda" osserva che il dominio dell’identificazione sociale sta nel rifiuto dei segni di riconoscimento personale e sessuale, per cui:
- L’autorità veste pesante per valorizzare, nel suo indumento che cade senza varianti, l’imparzialità del suo operare;
- L’autorità veste pesante per valorizzare, nel suo indumento che cade senza varianti, l’imparzialità del suo operare;
- Il militare veste rigido per significare, nell’inamidatura e nella perfetta simmetria che non concede varianti, l’ordine rigoroso della sua disciplina.
- Per il religioso la tradizione è onnipotente, perché la religione corrisponde al dominio sul tempo e perciò le vesti del sacerdote devono essere invariate, per segnalare l’eternità delle forme e la continuità dei contenuti.
- Il giovane veste tutto in una sola volta, per esprimere la sua libertà da ogni ordine istituzionalizzato.
Facendo variare l’indumento, scrive Barthes, si fa variare il mondo e viceversa, per cui, quando l’accessorio fa primavera o un mantello è indicato per la mezza stagione.
Quando di sera ci vuole l’abito scuro o di pomeriggio può andare quello sportivo, quando certe scarpe sono ideali per camminare mentre altre s’impongono se la situazione è elegante, quando il collo aperto è giovanile mentre la gonna pieghettata è per le signore mature, noi assistiamo prima che a un gioco della moda a un costante rapporto tra il segno dell’abbigliamento e il significato del mondo.
Quando di sera ci vuole l’abito scuro o di pomeriggio può andare quello sportivo, quando certe scarpe sono ideali per camminare mentre altre s’impongono se la situazione è elegante, quando il collo aperto è giovanile mentre la gonna pieghettata è per le signore mature, noi assistiamo prima che a un gioco della moda a un costante rapporto tra il segno dell’abbigliamento e il significato del mondo.
Facendo variare l’indumento il corpo che lo indossa fa variare la sua direzione nel mondo.
La moda fissa dei parametri e fa variare, dopo un certo periodo, quelle equivalenze per cui: l’accessorio sta per primavera, il mantello sta per mezza stagione, il collo aperto sta per giovanile.
"Alla riduzione della valenza biologica ed etnica dell’abbigliamento fa riscontro un incremento della sua valenza sociale, che fa dell’indumento l’espressione di una funzione o l’asserzione di un valore che rinviano al mondo istituzionalizzato in cui l’individuo è inserito.
Tutto questo è l’omaggio che un sistema dell’essere, sempre più in estinzione, porge a un sistema del fare, che si espande man mano che si passa da uno stadio di natura a uno di cultura, e che il corpo interpreta affidando il suo significato alle vesti che lo ricoprono e lo espongono" (Galimberti)
