"Non ho mai sentito di appartenere a nessun posto.
Ma tu mi fai sentire come se ci fosse un posto per me"
(Cassandra Clare)
Il suo sguardo ispeziona la stanza e noto che fissa alcuni oggetti in particolare: un quadro, la scatola dei fazzoletti sul tavolo tra noi e dei libri che tengo sulla mia destra.
A. ha sviluppato una particolare strategia di autoregolazione per continuare a mettersi in relazione con me: non guardarmi e controllare il suo livello di attivazione.
Il comportamento di A. può essere valutato considerando il modello di Tronick sulle origini della psicopatologia nei bambini con madre depressa (qui madre sta per chiunque si occupi del bambino).
Nelle interazioni descritte da Tronick la madre è incapace di monitorare e rispondere agli affetti e ai livelli di attivazione del bambino.
Poiché lo stato del bambino non viene regolato in modo ottimale il bambino stesso deve preoccuparsi di gestire i propri disagi, le angosce e i livelli alti di attivazione.
Anche gli entusiasmi e le eccitazioni non vengono comprese e contenute dal genitore depresso. Il bambino si sente soverchiare anche dagli affetti positivi.
L’inibizione della propria attivazione e l’allontanamento dello sguardo in psicoterapia, così come lo stare per ore, da piccola, sul pavimento vicino alla porta, possono essere considerati, nel caso di A., come lo sforzo di regolare il proprio stato di angoscia.
A. manifesta problemi sia nel vissuto personale dell’angoscia, sia nella preoccupazione legata all’angoscia tra sé e l’altro, che la costringono ad alti livelli di monitoraggio della relazione a discapito della comprensione dei suoi vissuti interiori.
È molto attenta e sensibile al rifiuto del mondo nei suoi confronti.
Tutte le volte che riceve attenzioni si sente felice ma anche sovraeccitata e non riesce a capire cosa prova o desidera.
A volte spera di non essere notata o ricevere attenzioni per non sentire la paura di poterle perdere. A. teme di vivere esperienze positive che la potrebbero destabilizzare.
La sua vigilanza la porta a concentrarsi solo sugli indizi di rifiuto che non innalzano la sua attivazione e quindi sono sicuri e paradossalmente rassicuranti.
Quando vive un’esperienza positiva non si accorge più di altri indizi sociali che potrebbero, per esempio, consentirle di capire quando parlare, quando stare zitta e ascoltare, oppure cosa dire e a chi dirlo.
Per questo motivo si blocca, oppure parla troppo o dice cose decontestualizzate e perde la sincronia col contesto sociale nel quale si trova.
A. è un’ipervigilante selettiva così attenta a ogni rifiuto esterno che perde l’accesso al proprio stato interiore e diviene incapace di capire ciò di cui ha bisogno, si sente stupida e inopportuna o eccessiva.
Questo disagio viene percepito all’esterno e filtra nel rapporto con gli interlocutori, che reagiscono difensivamente all’interazione con A.
Questo stato relazionale conferma ad A. che lei è sbagliata e che quindi è giusto che venga rifiutata.
Le conferma anche che fa bene a stare attenta agli altri perché con il loro rifiuto la feriscono, la sua attenzione viene rinforzata negli aspetti paranoici e ipervigilanti.
A. si trova in un circuito dal quale potrà uscire attraverso la calibratura sempre più attenta della sua presenza in psicoterapia e nella relazione con me, nell'immediato presente.
