Vocale, subvocale e l'inespresso

 


"La verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici"

(Epitteto)


"Il vero castigo per chi mente non è quello di non essere creduto,

ma quello di non poter credere più a nessuno"

(George Bernard Shaw)



Parlare con qualcuno di un determinato argomento potrebbe risultare a volte un inganno fatto a noi stessi. Potrebbe indurci a credere di esprimere un vero contatto con quell'argomento e una sua accurata conoscenza, mentre invece stiamo solo pensando di averlo. 

In questi sfortunati casi l'atto del parlare serve solo da sostituto dell'esperienza diretta e di solito è una condizione difensiva, secondo i parametri di evitamento, proiezione e spostamento.

I segnali di questo inganno a noi stessi e la possibile manipolazione dell'argomento e dell'interlocutore, hanno sicuramente caratteristiche che differiscono da soggetto a soggetto, ma che comunque possono in generale essere riferite e sintetizzate in alcune semplici qualità linguistiche.

Parlare costituisce un buon contatto con la realtà quando crea un equilibrio tra le tre persone grammaticali io, tu ed esso: colui che parla, colui che ascolta e il soggetto del dialogo.

Queste tre persone rappresentano:
1. Lo stile e il ritmo, l'animazione e il tono, che esprimono il bisogno di chi parla;
2. L'atteggiamento retorico nella situazione interpersonale (insegnare, sedurre, costringere);
3. Il contenuto o la verità riguardo alle cose di cui si parla.

Chi parla difensivamente manifesta una rigidità dialettica e una fissazione rispetto alle tre persone grammaticali, producendo uno stereotipo del proprio ruolo sociale per evitare l'angoscia, l'imbarazzo del silenzio e della rivelazione.

Mimetizzandosi tra gli aspetti comunicativi e di espressione del dialogo, il parlare difensivo protegge l'isolamento di colui che parla. 

"Colui che verbalizza annoia gli altri perché intende annoiare, pur di essere lasciato in pace" (Perls).

Chi parla difensivamente si trova in un dilemma: deve attenersi ai fatti della realtà in modo da non sembrare folle o ridicolo, anche se non rappresentano il suo interesse reale. 

Non può osservarli troppo da vicino perché rischierebbe di entrare in contatto con la realtà e frantumare le sue razionalizzazioni e le proiezioni difensive, facendo sorgere angoscia. Il compromesso è parlare in termini stereotipati e allo stesso tempo non comunicare nulla.

In questi soggetti la mancanza di contatto con l'Io e la realtà è osservabile nella divisione del corpo, tra una bocca che emette suoni con movimenti rigidi, un vocalismo privo di risonanza, e il resto del corpo tenuto a freno e non impegnato. 

Spesso le parole non sono coordinate alla respirazione, escono a sprazzi e il tono è monotono.

In questi casi parlare è un’attività pericolosa che potrebbe dare voce al subvocale inespresso e mettere in contatto il soggetto con la frustrazione legata al suo congelamento dei conflitti. 

La tensione è il dato sensoriale di un compromesso tra il bisogno di comunicare e il pericolo di farlo e, sottratta alla parola il suo potere evocativo, l’individuo la utilizza come oggetto d’identificazione:

"Egli è ciò che dice, non potendo dire chi è egli veramente" (Perls).