"La mia solitudine è un desiderio masochistico"
(Paul Auster)
Adulti che s’impegnano ripetutamente in atti di autolesionismo provengono quasi sempre da un’infanzia piena di abusi, mancanza di attenzioni, prese in giro crudeli e umiliazioni da parte dei caretaker (Mazza, Reynolds).
Questa correlazione ha portato molti clinici a considerare il significato dell’autolesionismo come un continuo coinvolgimento psichico con genitori distruttivi.
Esperienze di abuso sono tenute in vita nelle reti della memoria sociale implicita e fanno intrusione nella consapevolezza cosciente quando sono innescate da critica, rifiuto o perdita.
Data la correlazione fra esperienze negative di attaccamento e autolesionismo, il suicidio è stato visto come un ultimo atto di compiacenza del figlio nei confronti del genitore sadico: il figlio sente che il genitore desidera la sua morte e cerca di soddisfare questo desiderio (Green).
Ripetuti tentativi di suicidio sono rinforzati non intenzionalmente dalla scarsa risposta di personale sanitario, famiglia e amici (Schwartz).
Questa forma di attenzione diventa un mezzo di regolazione affettiva simile ai richiami dei giovani primati, i cui livelli di endorfine calano in assenza della madre per poi risalire quando la madre ritorna e calma i suoi piccoli.
La comparsa dei sanitari sembra agire allo stesso modo.
Anche gli oppiodi endogeni sembrano implicati in gravi casi di autolesionismo e suicidio (Van der Kolk).
In caso di ferita, le endorfine procurano l’analgesia per il dolore che ci permette di continuare a combattere o scappare (Pitman).
Il circuito dell’endorfina, in origine usato per affrontare il dolore, è stato adattato dalle reti di attaccamento e di connessione, che si sono sviluppate successivamente, per rinforzare con stati emozionali positivi il comportamento affiliativo.
Il sistema dell’endorfina e il suo ruolo nella modulazione dell’attaccamento e della vicinanza, può essere centrale nella patologia borderline e può spiegare il fallimento del trattamento farmacologico con antidepressivi, il cui bersaglio è costituito dai sistemi neuro-trasmettitori serotoninergici e dopaminergici (Corrigan).
Gli effetti analgesici di queste sostanze morfinosimili possono spiegare anche i resoconti di riduzione dell’ansia e il senso di calma successivi alla procurata ferita o bruciatura.
La ricerca ha dimostrato che l’autolesionismo diminuisce, o cessa completamente, quando viene dato ai pazienti un farmaco per bloccare gli effetti calmanti e di rinforzo degli oppioidi endogeni (Pitman).
Il loro rilascio, in risposta alla paura e allo stress, può aiutare la maggior parte delle persone a modulare gli stati emozionali e incrementare le capacità di coping e di problem solving (Fanselow, Carroll).
Questo sistema può non venir attivato in condizioni normali nelle persone borderline, e l’autolesionismo potrebbe essere un modo per superare una soglia più alta di rilascio dell’endorfina.
Quest’idea è sostenuta dal fatto che, chi riferisce analgesia durante un’automutilazione, mostra anche minore sensibilità al dolore, persino in stati di calma (Bohus).