Il ritorno dell'amore

 

"Impari a parlare parlando, a studiare studiando, a correre correndo, a lavorare lavorando e allo stesso modo impari ad amare amando. Chi pensa di poter imparare ad amare in qualsiasi altro modo inganna se stesso" (San Francesco di Sales)


"Chiamami solo amore" (William Shakespeare)



Il movimento di Eros è compreso nell’oscillazione tra libido narcisistica e libido oggettuale secondaria.

Freud ci propose l’immagine di una libido che si ritira gradualmente dagli oggetti esterni (affetti) per tornare nel luogo originario e materno dell’Io.

La psicoanalisi assume la vita amorosa come una condizione residuale dell’esistenza: 

"Essere innamorati significa che la libido dell’Io trabocca sull’oggetto. Viene amato l’oggetto che possiede le prerogative che mancano all’Io per raggiungere il suo ideale." (Freud S., Introduzione al narcisismo, 1913-14)

Stendhal tentò di esonerare la propria vita dall’amore infelice per Mathilde Dembrowski. 

Pensò di scrivere un romanzo in cui la sfuggente nobildonna fosse la protagonista, poi si convinse di accettare di vedere negli occhi di altre donne, innamorate di lui, la propria passione non corrisposta, infine concepì l’idea di scrivere un libro in cui i propri sentimenti venissero esorcizzati nella forma di un rigoroso trattato sull’amore.

Ma, come sapeva lo stesso Stendhal, è impossibile dimenticare una donna che, nel suo ritrarsi lascia un’immagine di felicità cui non possiamo rinunciare e che il desiderio di continuità del nostro immaginario induce a riproporre, per sottrarla al doloroso oblio cui è consegnata.

Il tentativo di sublimare la propria esperienza amorosa in un trattato fallisce anche dal punto di vista letterario. 

Stendhal crede di aver imbrigliato l’inquietudine della propria vita nella forma del saggio filosofico e si trova a dover costatare: "D’aver dato una ben misera idea del vero amore e di non aver scritto che un sospiro, quando credevo di aver segnata una verità." (Stendhal H. M., Dell’amore, 1822)

Frammenti di un discorso amoroso di Barthes è consapevolezza dello scacco della scrittura che pretende di esprimere l’amore: come soggetto amoroso devo sacrificare un po’ del mio immaginario, rinunciare all’utopia del linguaggio naturale, sensuale, specchio dei nostri sensi.

La scrittura è sempre "avara, violenta, indifferente all’Io infantile che la sollecita"; essa non rimargina le ferite del reale, non compensa, non sublima nulla, non può riscattare un’assenza. 

Nella prospettiva di Barthes il discorso amoroso riscopre l’etimologia di discursus. 

L’innamorato corre qua e là, si muove all’interno di un gioco di figure ricorrenti: l’Attesa, la Dedica, il Disagio, la Gelosia, il Ricordo, la Scenata.

Il sentimento amoroso diventa discorso amoroso, puro effetto di un linguaggio come la dichiarazione Io-ti-amo, espressione sempre vera perché priva di referente all’infuori del suo proferimento.

L’innamorato inscena un teatro della Parola in opposizione alla Lingua, sottraendosi al regime dello scambio linguistico: il proferimento d’amore (io-ti-amo) accetta la tautologia (ti-amo-perché-ti-amo) ed esige la ripetizione (Mélisande risponde a Pelléas: ti-amo-anch’io).

Il soggetto del discorso amoroso abbandona le istanze di potere super-egoico, di potenziamento del controllo sugli eventi: egli vive la dimensione dell’effimero, riceve (come afferma Lacan) la lettera del suo desiderio dall’Altro; l’attesa di una telefonata è la figura consueta, domestica della sua dipendenza.

La sua dipendenza è legata a un’immagine che è un ricordo, vivificato dal desiderio. Il desiderio che si possa ripetere ciò che conosce e che lo dilania con la violenza della ripetizione allucinatoria dell’irripetibile amore primario.