"Chi è stato torturato rimane tale per sempre,
l'abominio dell'annullamento non si estingue mai"
(Jean Améry)
"Nessuno può farti più male di quanto tu ne fai a te stesso"
(Mahatma Gandhi)
Osservo il corpo delle persone intorno a me e vedo il dolore muto nelle loro tensioni muscolari, vedo movimenti limitati dai divieti morali e restrizioni prodotte dal senso di colpa che creano claustrofobie nei loro spazi vitali.
La bocca tirata, le mascelle serrate, le spalle sollevate, il collo rigido, il torace gonfio, il ventre rientrato, il bacino immobile, le gambe pesanti e i piedi contratti sono tutti segni della paura di lasciarsi andare, l’esistenza di una condizione dolorosa.
Generalmente le persone non lamentano dolori anche se alcuni a volte provano dolore in diverse parti del corpo, come nella parte bassa della schiena.
Il dolore fisico spaventa. In molti reagiscono come quando erano bambini, vogliono che scompaia il prima possibile.
L’Io del bambino non è in grado di affrontare il dolore come un adulto. Se il dolore non scompare, è quasi sempre il bambino a scomparire, ossia si dissocia dal corpo e si ritira nella testa dove non c’è dolore.
Il ritiro avviene nel momento in cui il bambino non può più sopportare il dolore corporeo.
Distaccandosi dal corpo, riesce a tollerare la sofferenza penosa, perché non fa più male. Il bambino è diventato insensibile.
Normalmente gli adulti sani non si ritirano o distaccano dal corpo nelle situazioni dolorose. Il loro Io è sufficientemente forte per non spezzarsi, eccetto che in situazioni particolarmente insolite, come nella tortura.
Oppure nella condizione di freezing vagale nelle donne che subiscono uno stupro di gruppo (Porges).
Quando gli adulti si spezzano o si scindono, ossia si dissociano da se stessi, ciò accade perché la connessione tra l’Io e il corpo è stata indebolita da esperienze penose nel periodo infantile.
Ritornare al corpo è un processo doloroso ma, attraverso l’esperienza del dolore, l’individuo ritrova il contatto con la vitalità e i sentimenti che erano stati repressi ai fini della sopravvivenza.
Quando non si è più bambini, dipendenti e indifesi, si può accettare ed esprimere quei sentimenti nella sicurezza della situazione terapeutica.
Ma, anche in questa situazione, i pazienti all’inizio sono troppo spaventati per cedere quel controllo dell’Io che ha assicurato la loro sopravvivenza.
"Se la resa al corpo implica l’abbandono del controllo dell’Io sul sentimento, non implica invece una perdita di controllo sulle azioni o sul comportamento.
Tuttavia, ciò può accadere se i sentimenti sono molto intensi e l’Io è troppo debole.
Quando la mente conscia di un individuo è sopraffatta da un’eccitazione che non è in grado di gestire, è possibile che vada perduta la capacità di controllare il comportamento." (Lowen)