"Il futuro ci tormenta, il passato ci trattiene, il presente ci sfugge"
(Gustave Flaubert)
"Lascia andare tutto quello che hai paura di perdere"
(Yoda)
Alcuni atteggiamenti nevrotici autolesivi avvengono tramite operazioni come la retroflessione, cioè rivolgere indietro, dentro e contro di sé ciò che dovrebbe andare fuori, poter uscire e andare verso l’altro.
Quando una persona retroflette il suo comportamento significa che fa a se stessa ciò che originariamente fece o cercò di fare ad altre persone o a oggetti esterni.
Il soggetto in questa condizione smette di dirigere le energie verso l’esterno nel tentativo di manipolare e determinare cambiamenti nell’ambiente che soddisferanno i suoi bisogni, per indirizzarle al proprio interno sostituendo, come bersaglio del proprio comportamento, se stesso all’ambiente.
L'individuo opera una scissione al suo interno e instaura un rapporto schizofrenico con la realtà, egli divide la sua personalità nella parte che agisce e quella che subisce.
Questa inversione di flusso comportamentale è resa necessaria dallo scontro con un’opposizione insuperabile dell'ambiente esterno.
La scena osservabile prototipo di questo atteggiamento autopunitivo è quella di una persona che, appena subita una frustrazione sociale, prende a calci qualcosa facendosi male al piede.
L’ambiente s’è mostrato ostile riguardo ai tentativi volti al soddisfacimento dei bisogni dell’individuo, l’ha frustrato e punito.
Per evitare il dolore e il pericolo, impliciti nei suoi tentativi, egli rinuncia. L’ambiente s’è dimostrato intollerante e ha vinto la battaglia per il potere, imponendo i suoi funzionamenti sui desideri dell’individuo.
Tuttavia la punizione non ha l’effetto di annullare il bisogno, ma di insegnare all’organismo a trattenere le risposte punibili.
L’impulso o il desiderio rimangono forti e, dato che non vengono soddisfatti e liberati, rimangono nel corpo e influenzano il funzionamento dell’apparato motorio (la postura, il tono muscolare) nella direzione dell’espressione e del movimento.
Dato che questi atti suscitano la punizione, l’organismo si comporta verso il proprio impulso nello stesso modo dell’ambiente: vale a dire lo reprime.
La sua energia viene pertanto divisa: una parte tende ancora verso le sue mete originarie e insoddisfatte, l’altra parte viene retroflessa per tenere a freno la prima, tesa all’esterno.
Il trattenere viene raggiunto irrigidendo i muscoli che sono antagonistici a quelli che sarebbero coinvolti nell’esprimere l’impulso punibile. A questo stadio le due parti della personalità, lottando in direzioni diametralmente opposte, entrano in conflitto tra loro.
Quel che è cominciato come una questione tra l’organismo e l’ambiente è diventato un conflitto interno tra una parte e l’altra della personalità, tra un tipo di comportamento e il suo inverso.
Non bisogna giungere alla conclusione che sarebbe meglio per tutti liberare le inibizioni. In alcune situazioni trattenersi è necessario, può perfino salvare la vita.
La questione è se la persona possiede o no dei motivi congrui per soffocare il suo comportamento in determinate circostanze.
Quando la retroflessione è sotto controllo consapevole cioè quando una persona, in una situazione corrente, reprime delle risposte particolari che, se espresse, gli arrecherebbero danno, nessuno può contestare la validità di tale comportamento.
La retroflessione è patologica quando è abituale, cronica e incontrollabile.
Ciò che costituiva un fatto temporaneo, una misura di emergenza diventa un modus operandi dell’organismo, automatico e inconscio, soggetto a rimozione e nevrotico.