Elementi di terapia su una borderline

 

"Ciò che inizia nella rabbia finisce nella vergogna"

(Benjamin Franklin)


"Chiedere è la vergogna di un attimo,

non chiedere è la vergogna di una vita"

(proverbio)



Giulia presenta un’ampia gamma di sintomi compulsivi, compresi abuso di sostanze, ipersessualità, disturbi alimentari e shopping compulsivo. 

Sembra incapace di regolare qualsiasi cosa faccia. 

Quando si mette a dieta diventa pericolosamente magra. Quando smette la dieta aumenta di diverse taglie. 

È andata in cerca di soluzioni di diverso tipo, comprese quelle di cambiare religione, avere rapporti con donne e spostarsi da una località all’altra. Tutte le soluzioni provate l’hanno portata a rendersi conto di non aver via d’uscita. 

Come dice lei stessa: "Continuo a imbattermi in me stessa, dovunque vada."

Anche se gli argomenti cambiano di seduta in seduta, il modello emozionale rimane identico. Arriva con uno stato mentale positivo. Dopo un po’, qualche sua associazione o qualcosa che le dice il terapeuta, si scatenano sentimenti di rifiuto, di critica e di abbandono a cui segue un periodo di risentimento, rabbia e ritiro.

Se il terapeuta si mette a parlare dei suoi sentimenti o cerca di portarla ad analizzarli a fondo, la sua rabbia aumenta e il terapeuta diventa parte del problema.

Se egli accetta la sua rabbia e riesce a dare una risposta empatica, la paziente si regola di nuovo e scivola in un atteggiamento contrito. Parla quindi di un’esperienza di connessione positiva con qualcun altro, una rivelazione apparentemente innescata dalla risposta empatica del terapeuta.

Questo modello di connessione, disconnessione e riconnessione si verifica diverse volte nel corso della seduta terapeutica.

Il terapeuta sostiene che quello che vive con Giulia assomiglia a ciò che avviene molte volte durante l’infanzia tra bambini e genitori.

È una manifestazione esterna dell’esperienza quotidiana dei bambini piccoli quando attraversano cicli di regolazione, disregolazione e riregolazione grazie alla capacità dei loro genitori di funzionare come dei lobi frontali esterni al bambino, aiutandolo a superare gli alti e bassi emotivi della vita.

Ripetendo questo processo per centinaia di volte si crea un’aspettativa inconscia di regolazione. La terapia è un tentativo di costruire una nuova memoria, quando la memoria precoce non è stata stabilita con successo.

È una memoria del futuro, un modello che contiene il pensiero "io posso sopravvivere a questi momenti" e la riregolazione è "proprio dietro l’angolo". 

Questo ambiente affettivo positivo ci permette di percepire una narrazione di noi stessi, ci offre la sicurezza necessaria per affrontare dei rischi e per andare avanti quando le cose non vanno nel verso giusto.

Non è questo il modello di memoria che si è stabilito nell’infanzia di Giulia. Sua madre, una donna rigida e distante (che potrebbe aver sofferto di un disturbo ossessivo-compulsivo) aveva scarsa tolleranza per qualunque sentimento negativo. Non capiva quanto Giulia si vergognasse e si sentisse spaventata e, se anche lo aveva capito, non era stata capace di consolarla e calmarla. 

Il fratello di Giulia di solito era a fare sport, suo padre era fuori per lavoro e lei passava molte giornate giocando da sola, concentrata intensamente nelle sue occupazioni, per evitare qualsiasi interazione con la madre che avrebbe semplicemente peggiorato le cose.

Nei suoi ricordi infantili, Giulia era spaventata e sola, impegnata a fare il possibile per evitare di interagire con le persone che le stavano vicino.

Tutte le volte che il terapeuta stabilisce una nuova connessione con lei si evocano vecchi modelli su cui lavorano in terapia per ostacolare la rabbia e ricostruire regolazione emotiva e fiducia.