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Sophia Loren e Jayne Mansfield |
"L'invidia è magra e pallida
perché morde ma non mangia"
perché morde ma non mangia"
(Francisco de Quevedo)
“Voglio essere
ammirato”
“Tengo alla mia
importanza”
“Penso all’amore
ideale”
“Sento di essere
speciale”
“Gli altri m’invidiano”
Questi tratti di personalità indicano un funzionamento
narcisistico.
L’invidia del narcisista è spesso proiettata negli altri.
L’idealizzazione è una difesa contro le angosce paranoiche e
l’invidia è il segnale di un Io instabile e privo di un oggetto interno
affettivo buono.
Le persone invidiose e idealiste mancano di una percezione
chiara della separazione tra ciò che è buono e ciò che è cattivo per loro, per
cui devono ricorrere spesso e rigidamente all’idealizzazione per affermare,
soprattutto a se stessi, questa separazione.
Per la persona invidiosa non è possibile mitigare l’odio
attraverso il perdono o la gratitudine perché è assente l’esperienza della
bontà e la possibilità di un affidamento del controllo.
La condizione affettiva profonda della persona invidiosa è
la confusione.
“Di tutti i vizi
capitali l’invidia è il peggiore. Mentre gli altri attaccano una sola delle
virtù cardinali, l’invidia le attacca tutte” (Chaucer).
La confusione che produce l’invidia nelle relazioni si
traduce in un comportamento borderline. L’altro prima viene idealizzato e
riempito di cose buone, poi è invidiato per quelle stesse cose. Ne segue un
attacco massiccio che lo fa diventare un oggetto deturpato, svalutato e
abbandonato. Dopo l’abbandono iniziano le fantasie paranoiche dell’invidioso
che immagina che l’altro tornerà per vendicarsi, ormai ridotto a un mostro
distruttivo e persecutore.
Questo circuito vizioso aiuta l’invidioso
nell’autorappresentazione del vissuto di paranoia che è l’origine lontana della
sua invidia e della sua idealizzazione narcisista.
La paranoia deriva da esperienze precoci di una figura di
accudimento non affidabile che produceva alimenti tossici o era assente nel
momento del bisogno.
L’inaffidabilità produce uno stato relazionale primitivo
fondato sul sospetto e sulla sensazione di non essere mai pieni di cose buone
che l’altro non ha donato e ha tenuto per sé.
Nel lavoro clinico la comparsa di vissuti d’invidia è una
prima apertura nella corazza difensiva del narcisista. L’invidia testimonia l’esperienza
di mancanza in soggetti che apparentemente sembrano non mancare di nulla.
Il lavoro sull’invidia apre ulteriori possibilità di un
superamento di questi stati difensivi attraverso l’accesso al vissuto della
gelosia, che riporta a lontane esperienze infantili nel rapporto con le figure
genitoriali vissute come coppia.