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"The Conversion of Paula by Saint Jerome" di Sir Lawrence Alma-Tadema - 1898 |
Parlare può essere un inganno, può
indurre a credere di esprimere un vero contatto con il soggetto del dialogo,
mentre invece si sta solo pensando di averlo. In questi casi parlare serve da
sostituto dell'esperienza diretta e di solito è una condizione difensiva.
Parlare costituisce un buon contatto con
la realtà quando crea un equilibrio tra le tre persone grammaticali io, tu ed
esso: colui che parla, colui che ascolta e il soggetto del dialogo.
Queste tre persone rappresentano:
1. Lo stile e il ritmo, l'animazione e
il tono, che esprimono il bisogno di chi parla;
2. L'atteggiamento retorico nella
situazione interpersonale (insegnare, sedurre, costringere);
3. Il contenuto o la verità riguardo
alle cose di cui si parla.
Chi parla difensivamente manifesta una
rigidità dialettica e una fissazione rispetto alle tre persone grammaticali, producendo
uno stereotipo del proprio ruolo sociale per evitare l'angoscia, l'imbarazzo del
silenzio e della rivelazione.
Mimetizzandosi tra gli aspetti
comunicativi e di espressione del dialogo, il parlare difensivo protegge l'isolamento
di colui che parla. “Colui che verbalizza annoia gli altri perché intende
annoiare, pur di essere lasciato in pace” (F. Perls, 1951).
Chi parla difensivamente si trova in un
dilemma: deve attenersi ai fatti della realtà in modo da non sembrare folle o
ridicolo, anche se non rappresentano il suo interesse reale. Non può osservarli
troppo da vicino perché rischierebbe di entrare in contatto con la realtà e
frantumare le sue razionalizzazioni e le proiezioni difensive, facendo sorgere
angoscia. Il compromesso è parlare in termini stereotipati e allo stesso tempo
non comunicare nulla.
In questi soggetti la mancanza di
contatto con l'Io e la realtà è osservabile nella divisione del corpo, tra una
bocca che emette suoni con movimenti rigidi, un vocalismo privo di risonanza, e
il resto del corpo tenuto a freno e non impegnato. Spesso le parole non sono
coordinate alla respirazione, escono a sprazzi e il tono è monotono.
In questi casi parlare è un’attività pericolosa
che potrebbe dare voce al subvocale
inespresso e mettere in contatto il soggetto con la frustrazione legata al suo
congelamento dei conflitti. La tensione è il dato sensoriale di un compromesso
tra il bisogno di comunicare e il pericolo di farlo e, sottratta alla parola il
suo potere evocativo, l’individuo la utilizza come oggetto d’identificazione:
“Egli è ciò che dice, non potendo dire egli chi è” (F. Perls).