Uno dei concetti più tradizionali e frequentemente usati nel campo della psicologia della devianza, è quello di personalità psicopatica. Si tratta di una categoria con una lunga storia alquanto travagliata, molto discussa e discutibile sia da un punto di vista criminologico che psichiatrico.
E' stata definita una “pattumiera psichiatrica” (Jervis, 1975) in quanto consente di assorbire carenze della teoria e della ricerca, cioè i luoghi oscuri, le zone comportamentali, caratteriali che non hanno spiegazione né all'interno della categoria delle psicosi, né delle nevrosi e che non trovano neanche una definizione razionale in termini di normalità; si tratta quindi di un concetto assolutamente residuale.
Per personalità psicopatica si intende una sindrome che presenta una serie di caratteristiche psicologiche comunemente non accettate come normali (mancanza di senso morale, incapacità di apprendere dall'esperienza e dalle punizioni, assenza di sensi di colpa, anaffettività, impulsività, labilità emotiva, ecc.) che la rendono quindi costantemente fonte di sofferenza per sé e per gli altri.
Lo psicopatico, conservando lucidità intellettiva e cognitiva, sarebbe incapace di stabilire relazioni approfondite, di prevedere gli effetti dei propri comportamenti, di mettersi nei panni degli altri; tutte queste caratteristiche farebbero di lui un soggetto portato al comportamento deviante e criminale. Si tratta di un'evidente semplificazione tautologica in quanto la psicopatia è stata inventata come categoria per designare comportamenti anomali, i quali vengono spiegati con la stessa categoria; è un processo di pensiero circolare che non permette di approfondire la storia della persona, né i rapporti tra storia e processo in azione, è quindi un concetto che, in realtà, non ha nessuna validità esplicativa.
Ci sono alcuni casi, in età evolutiva, anche se rari di personalità psicopatica; il problema consiste nel fatto che queste situazioni particolari vanno riconcettualizzate, non serve utilizzare una categoria così inquinata sul piano storico e teorico, possono essere definiti casi difficili, possono essere definiti in vario modo, ma è bene non includerli in un ambito concettuale che orienterebbe in maniera deformata l'analisi, le ipotesi esplicative e l'atteggiamento dello studioso (De Leo, 2002).
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dal film "Romanzo criminale" di Michele Placido |
E' stata spesso sottolineata una caratteristica dello psicopatico riguardante la ripetitività degli atteggiamenti e comportamenti, una ripetitività che può anche coinvolgere atti dannosi per gli altri. La domanda da porsi è perché questi comportamenti tendono a ripetersi, che cosa stabilizza questa ripetitività, ricostruendo la storia del soggetto, le sue relazioni, collegare i processi di interazione con le rappresentazioni mentali e le elaborazioni cognitive.
Tenendo conto che la rigidità e le ripetitività del soggetto non sono mai totali, ma riguardano solo alcune aree comportamentali, per il resto egli può mantenere livelli significativi di disponibilità al rapporto e al cambiamento.
Un tema che in altri momenti storici ha avuto una certa importanza è quello del rapporto tra intelligenza e criminalità e devianza; si riteneva cioè che la maggior parte dei criminali fossero anche persone con deficit intellettivi, con un'intelligenza scarsa, debole e perfino subnormali. Molte sono state le critiche rivolte a questo tipo di ricerche, soprattutto per l'inadeguatezza metodologica. Gli studi più recenti hanno anche dimostrato il contrario; per alcuni tipi di reato, infatti, come frodi, truffe, falsificazioni, sono stati trovati indici di intelligenza superiori alla media.
Certamente esiste il problema del debole di mente, esistono persone che presentano carenze nell'esprimere le proprie potenzialità intellettive, che hanno una debole capacità di simbolizzazione e concettualizzazione, tutti aspetti che possono causare difficoltà, momenti di irrigidimento e di conflitto nelle relazioni con gli altri, in quanto queste persone, non avendo sviluppato le più astratte competenze cognitive, simboliche, concettuali, possono usare più direttamente il passaggio all'atto con modalità di difesa e risoluzione dei problemi; ciò però non significa che il debole di mente sia più portato a commettere reati. Ancora una volta il discorso ci rimanda a dinamiche processuali, interattive e situazionali.
Questo tipo di tematica attualmente ha una pura rilevanza clinica, casistica, cioè in qualche caso, particolari situazioni di deficit intellettivo possono essere collegate con la dinamica interattiva che ha portato al comportamento criminale, ma il deficit non è una causa rilevante e significativa.
Per quanto riguarda l'età evolutiva e l'adolescenza il riferimento alla dimensione psichiatrica e psicopatologica è molto meno frequente e meno rilevante, sia perché si preferisce considerare gli aspetti evolutivi piuttosto che quelli psicopatologici, sia perché l'esperienza clinica e gli studi in questo campo ci mostrano che, in questa fase evolutiva, le problematiche psicopatologiche, quando sono presenti, hanno comunque un carattere meno strutturato e meno definito; sia infine perché le grandi malattie mentali, come la psicosi, si affacciano generalmente nella vita dell'individuo in età più avanzata.
Nell'adolescenza la correlazione tra condotta sintomatica e problemi psichiatrici è limitata; più che in qualsiasi altra età, molto raramente, in questo periodo si manifestano quadri patologici ben definiti. Potrebbero insorgere dei disturbi psicotici, ma che conservano comunque una notevole potenzialità di reversibilità e di evolutività.
Riguardo la nevrosi è difficile fare una diagnosi ben precisa di questo di tipo in adolescenza, si preferisce invece parlare di modalità nevrotiche che hanno un carattere temporaneo e che frequentemente tendono a sfumare e a scomparire nell'adulto (Bracconier, Marcelli, 1985).